E se l’uomo cinguettasse e il passero parlasse?

di Adele Porzia. Sono anni, ormai, che chi si interessa alla nascita del linguaggio umano ha notato particolari affinità con un insospettabile membro del regno animale che, apparentemente, non sembra avere alcun legame con l’uomo, men che meno con il suo linguaggio: gli uccelli. Grandi studiosi (come Scharff, Okanoy o Peters) hanno notato che effettivamente gli uccelli imparano a cinguettare nelle stesse modalità di un essere umano.

L’homo habilis, infatti, nostro astuto e vigile antenato, aveva ben compreso che per incrementare l’attività propria e del vicino, fosse ben più utile dirgli cosa fare e come.

Lieto del successo, l’homo erectus ha gioiosamente proseguito l’opera del suo predecessore, aggiungendovi del proprio, in modo da non lasciare sfornito il prossimo homo sulla scala evolutiva. Davvero arguti questi ominidi!

Il primo a scrivere di questa particolare dote degli uccelli fu, naturalmente, un greco pedante e ordinato come Aristotele, vissuto nel IV secolo a.C. Lo scrisse in un’opera – fortunatamente risparmiata agli studenti – in cui il grande filosofo trattava la storia di tutti gli animali. Il titolo, infatti, era proprio Historia animalium: “Certi uccelli hanno la facoltà di emettere suoni articolati in grado maggiore di tutti gli altri animali, secondi in questo solo all’uomo” e continua con un’altra importante intuizione, notando, infatti, che se gli uccelli sono separati dai loro genitori, possono imparare il cinguettio di un’altra specie, come fosse la loro.

Scienze) C. Darwin - L'ORIGINE DELL'UOMO - SCELTA SESSUALE - Milano 1925 | eBayDarwin, diversi secoli più tardi, confermò in pieno le parole di Aristotele, in quel caposaldo che è L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, e notò che questa incredibile capacità di alcuni volatili di adattarsi all’ambiente e al suo “linguaggio” possa derivare da un particolare corredo genetico, in comune con quello dell’uomo.

Eppure, un tale enunciato non fu particolarmente apprezzato dai suoi contemporanei, sebbene sia stata dimostrata la sua veridicità solo nel 2012.

Possiamo solo immaginare la portata che ebbe una tale scoperta all’inizio del ‘900, quando si riteneva l’uomo la più evoluta delle creature, e Darwin non solo parlava dei nostri antenati scimmieschi ma anche delle nostre affinità con svariate specie di volatili.

Inoltre, i neuroscienziati, diverso tempo dopo, scoprirono che i bambini tendono ad imparare la lingua insegnata dai genitori, piuttosto che da altri, mostrando che vi siano effettivamente dei vincoli affettivi e biologici che stimolano il bambino, oltre che dei periodi in cui l’apprendimento è maggiore e altri in cui è minore, ulteriori caratteristiche in comune con i nostri colleghi alati.

Proprio come un volatile, se un ragazzo, tra gli undici e i dodici anni – in quella che viene definita “pre-adolescenza linguistica” – non ha alcun contatto con l’esterno o con qualcuno che parli la sua lingua, subisce un blocco d’apprendimento acustico e ​rischia di non fare più progressi, incontrando difficoltà nella comprensione e pronuncia di una lingua. Tale capacità, inoltre, decresce con l’età.

Eppure, nulla è più sorprendente di quest’ultima scoperta, che ha il merito di essere tutta moderna. Qualche anno fa, una specie assai particolare come quella del diamante mandarino era stata sottoposta ad un esperimento. Essendo un tipo di volatile poco avvezzo alla solitudine e, quindi, abituato ad apprendere la “lingua” in gruppo, è stato tenuto in isolamento per tutta la prima fase della sua vita e ha imparato un linguaggio leggermente diverso da quello della sua specie.

Con il tempo, lo stesso pennuto correggeva tutte quelle anomalie acustiche, riuscendo a ad introdurre tutte quelle particolarità sonore della sua specie. Insomma, il suo canto era esattamente lo stesso di chi cresceva in gruppo, a causa di un vincolo biologico che lo teneva ben stretto alla sua specie e che si rafforzava di generazione in generazione.

Un essere umano non è tanto diverso: gli adulti insegnano ai bambini un linguaggio molto semplice, totalmente privo di struttura grammaticale, in modo da facilitare la comunicazione. Inizialmente, il bambino apprende quel linguaggio, ma tende, crescendo, a complicarlo da un punto di vista sintattico e grammaticale, finendo con il trasmettere quelle particolarità anche nelle generazioni successive.

Questo è avvenuto anche nei primi ominidi. Entrambi, quindi, tendono a complicare la lingua che apprendono, attingendo ad un serbatoio biologico ed empirico che, poi, tendono a trasmettere, come se costituisse un corredo genetico da preservare.

E chissà che qualcuno, una volta giunto alla fine di quest’articolo, non abbia effettivamente udito qualche uccellino parlare e qualche essere umano cinguettare, magari finendo col pensare che sarebbe meglio se qualcuno – specialmente in tempi come questi – prendesse la sana abitudine di cinguettare e perdesse quella di parlare.

Almeno, produrrebbe suoni piacevoli e, soprattutto, incomprensibili.

You may also like...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *