Destra, Sinistra e Centro made in Italy.

di Franco Amarella. La Destra, così come si è sempre intesa in Italia, non c’è più. Ovvero quella con tanto di simbolo ‘verace’, esclusivo e a marchio registrato. Viceversa la Sinistra, pur con la cancellazione totale del simbolo ‘falce e martello’ in Parlamento, vive ed esiste. Qui è da porsi il grande punto interrogativo: Perchè?
Come mai il sentire ed il vivere di destra, sempre esercitati con timore e circospezione, hanno avuto bisogno in Italia di una fiamma di pubblico riconoscimento, per testimoniare la loro esistenza, mentre a sinistra il testimone generazionale si è sempre trasmesso per autoinduzione ed alla luce del sole? Ed ancora, come mai la destra genuinamente intesa, oggi diluita chimicamente in altre sostanze, non ha mostrato una briciola di molecola riconoscibile, quale autentico esempio di quintessenza nel nuovo composto?
In questo strano ed affascinante mondo italiano dove tutto sembra accadere quasi per caso, dove l’orgoglio nazionale si manifesta a stento nello sport ed i beni patrimoniali quasi sempre non si valorizzano, mentre ci si compiace nella esterofilìa, è sempre come vivere alla giornata: senza un programma nazionale coinvolgente, o magari un progetto alternativo prima studiato e poi compiutamente realizzato. Eppure con tali stigmate caratteriali, all’interno di tanta stretta fatalità, la politica italiana è stata capace di segnare una differenza di merito.
Vi è sempre stata una sinistra bene strutturata, operativamente presente e culturalmente strategica, in danno di una destra relegatasi per cinquantanni alla microfonata loquacità di opposizione. E’ pur vero che il dopoguerra, disegnato dai vincitori, aveva eretto un altissimo e lunghissimo argine sulla riva conveniente del fiume della politica italiana, tale da non consentire che il minimo affluente di destra potesse turbarne il corso e la portata. Ma è altrettanto vero che, per quanto alto e lungo potesse essere l’argine, ad un certo punto si azzerò.
Furono gli anni ottanta ad ammorbidire dapprima le quote dell’argine e poi gli anni novanta ad azzerarle completamente. E fu proprio allora che quel sentire e quel vivere di destra, un tempo esercitati con timore, invece di conoscere la vitale rinascita in chiave di modernizzazione politica, fu proprio allora che conobbero l’iniziazione al relax concettuale, che più tardi divenne mollezza ideologica ed infine anestesia politica. Sino a quando senza la minima dose di ossigeno anche la residuale fiammella si spenseCosì con la scomparsa definitiva del simbolo “maestro” si dispersero gli apostoli ed i seguaci. Come mai?
A sinistra, invece, ad ogni terremoto dei simboli è sempre seguita comunque una ripartenza. Sono caduti i muri internazionali, gli echi dei crolli sono stati registrati come epocali, ma in Italia nonostante i simboli abbiano conosciuto momenti di azzeramento, la quintessenza ideologica ha prodotto e continua a produrre scintille di nuove germinazioni, centrali e periferiche. Come mai? C’è forse una debolezza costituzionale nella fisicità della destra, mentre il certificato di sana costituzione sempre in regola vale solo per la sinistra? O è forse piuttosto che, dagli albori della repubblica ad oggi, la reiterazione di un perpetuo ritornello indirizzato alla destra ha fatto spirare un certo “venticello”? Che all’inizio è sembrato “un’auretta assai gentile che insensibile sottile – come Rossini ci snocciola, per la maldicenza, nel Barbiere di Siviglia – ….con costanza va a montare e nelle orecchie della gente…. s’introduce destramente e le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfiare”.
Sono anni ed anni che una parte strategica della sinistra, bene organizzata, accanto alla proposta politica ufficiale, ha messo in campo un autentico meccanismo di PNL (programmazione neuro-linguistica) capace, per dirla sempre alla Rossini, di far lievitare un sussurro in fischio e poi in brontolìo, poi in tuono e quindi in tempesta. E alla fine la maldicenza divenuta talmente gigantesca e rumorosa per il suo propagarsi, “come colpo di cannone”, tutt’intorno fa rimbombare. A quel punto il povero “meschino calunniato va a crepare sotto il pubblico flagello”.
Ecco cosa ha subito, lentamente, costantemente e progressivamente, il popolo italiano collocato a destra. Continui addebiti di progettato totalitarismo, reiterati richiami al manganello ed al culto delle uniformi, sardoniche ironie sugli atteggiamenti ginnico-militari e poi tutto un fuoco di fila fatto di snobismo intelletuale, di satira gratuita, di caricature da avanspettacolo, di palese ostracismo parlamentare. Il tutto, da una parte, sempre ammantato di perbenismo radical-chic; dall’altra, condito di mobilitazione ultras, con la “partecipazione” dei centri sociali.
E questo, oggi, accade di nuovo ogni qualvolta un fiorellino spunta nel terreno della politica, se riconosciuto come germoglio di destra, magari impollinato inconsapevolmente da un’ape in cerca del nettare del pluralismo. E sempre a proposito di colpe e di responsabili, a parte quelle per la liquefazione delle insegne di appartenenza, per la destra italiana vi è l’imputazione di non essere stata mai capace di costruirsi l’antitodo, rispetto ad un tale ostinato frontismo a prescindere. Anzi ha consentito da sè stessa, con l’avallo del silenzioso e penitente riconoscimento del peccato originale, riferito al ventennio, di essere perennemente “meschina e calunniata”.
Ah, se avesse condannato il condannabile e difeso, con i denti, il difendibile di quel ventennio! Ah, se la destra italiana avesse proseguito sulla rotta dei sani valori sociali, etici ed economici della primogenitura futurista, ovviamente quella del tempo. Forse oggi non saremmo nel marasma ideologico e morale della politica, in cui si fa fatica a distinguere sia le appartenenze, che la stessa provenienza delle proposte politiche.
Ma se a destra c’è poco da ritrovare, a sinistra sebbene fuori dal Parlamento vi sono i germogli resistenti; questa volta non già impollinati casualmente, bensì ciclicamente riprodotti per autoinduzione in quell’inesauribile vivaio strategico dell’extra sinistra ufficiale, che non ha bisogno di un simbolo per sopravvivere, perché persiste imperterrita nutrendosi di fame rivoluzionaria e non avverte il peso di alcuna incombenza storica da cui sdoganarsi.
D’altra parte si tratta di un’autoinduzione innescata con moto perpetuo da un apparato intellettuale, che si è sapientemente collocato nei gangli vitali delle attività umane, e che produce e si riproduce nell’alveo protetto della formazione culturale e della difesa sociale. Sicchè, soltanto disegno dei vincitori del dopoguerra? Od anche abilità accessorie di strategia politica, non ancora scoperte dalla concorrenza? Hai voglia a lanciare strali dai microfoni contro il colore rosso nelle scuole, nel Parlamento e nei tribunali.
Non è solo con l’attacco dialettico, repentinamente lanciato al “nemico”, che si indica un indirizzo politico e, men che meno, che si governa un cambiamento. Non si bilancia con l’essere “anti” l’altrui casa, l’essere carenti nel costruire e poi incapaci di sorreggere il “pro” di casa propria.
Una volta azzerato il suo simbolo, la destra italiana ha cessato di esistere. Priva di quei vivai strategici, tanto utili nell’altro emiciclo parlamentare, miscelandosi in un contenitore abbagliante, la destra italiana impoltronata e ciarlona si è dissolta quasi per dovere di eutanasia. Dunque disgregazione, dunque tutto da rifare. E così, dai giorni di Fiuggi, il tempo ne è risultato semplicemente ammazzato. Nel significato più diportista del termine: ammazzare il tempo.
Mollezze ed incapacità, presunzioni e cedimenti hanno prevalso sulle montagne degli antichi princìpi e dei teorizzati comportamenti, agevolando di fatto l’abbandono dei varchi valoriali e consentendo, per contro, l’ingresso di un tornado di sfrenato edonismo e di trasgressione, in politica e nella società.
Se nella sinistra, specialmente in quella extra parlamentare, oggi rispuntano con vigore i segnali di attiva presenza, l’orizzonte a destra pare essere ancora una linea non interrotta da alcuna sagoma. C’è infatti una destra che non c’è! E visto che, per una necessità identitaria, senza un simbolo visibile la destra in Italia non riesce a compattarsi e a rivivere, probabilmente la rinascita dovrebbe partire da una fioritura simbolica di trascinamento. Un simbolo ponderato, un messaggio onesto, un progetto concreto che possa impiantare nell’odierno giardino politico, senza imbarazzi e remore, gli antichi semi valoriali. Questi definitivamente inibiti nelle possibili germinazioni farneticanti.
Per poter ritrovare una rotta equilibrata, l’Italia di questo inizio secolo dovrebbe saper tarare, ex novo, la propria bussola politica. Ovvero dovrebbe riuscire a ridare un senso alla rappresentanza popolare. Destra e Sinistra, così come Nord e Sud, dovrebbero poter identificare le quattro combinazioni socio-economiche del nuovo quadrante politico italiano. Senza una tale bussola, tarata su questi quattro punti cardinali, sarebbe impossibile navigare sicuri fra scelta e consenso. Infatti ai canonici lati visibili di destra e sinistra, da qualche tempo in Parlamento, dopo il “lato” Nord va appalesandosi anche quello Sud. Ma questi due nuovi punti sensibili, sul quadrante della bussola italiana, meritano una osservazione diversa, magari attraverso una buona lente d’ingrandimento.
In tutto ciò il Centro parrebbe non avere ruolo. Parrebbe, perché in Italia – e per sua scelta – il Centro è sempre stato il perno attivo, che ha determinato la rotazione dell’ago magnetico, sul quadrante dell’orientamento politico italiano.

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