Covid19, il virus che continua a cambiare anche il nostro vocabolario.

di Francesca Marra. Di pari passo con l’evoluzione della pandemia legata al Covid e con i provvedimenti che vengono adottati per contrastarla, lingua dei media e lingua istituzionale generano nuove espressioni, evolvendosi così fianco a fianco, come se procedessero su binari paralleli. La duttilità del linguaggio va di pari passo con la sua dinamicità, alimentata dai cambiamenti socio-culturali: nascono nuove parole, altre scompaiono o cambiano di significato, altre ancora acquisiscono nuove accezioni. Un virus capace di influire a tutto tondo, oltre che per la sfera sanitaria, e ovviamente per quella lessicale, anche per ciò che concerne la salute mentale (per approfondire). In questi ultimi mesi le parole che ascoltiamo più spesso, non solo tra gli specialisti ma anche nel conversare comune, sono legate al mondo della patologia virale.

Soffermarsi sulla loro etimologia, può essere interessante per individuare non solo le permanenze lessicali nel tempo, ma anche gli slittamenti semantici, le loro possibili ragioni e le loro insidie.

Legato all’agenda comune della discussione sul Covid si parte dalla biologia, il temine. In questi ultimi mesi le parole che ascoltiamo più spesso, non solo tra gli specialisti ma anche nel conversare comune, sono legate al mondo della patologia virale. Indica un agente infettivo di origine microbica incapace di un metabolismo autonomo; ciò comporta lo sviluppo di una natura parassitaria, cioè la tendenza del virus (che non è propriamente vita, ma codice, algoritmo) a penetrare nella cellula vivente con la quale è entrato in contatto e di cui modifica il patrimonio genetico, in modo da obbligare la cellula ospitante a replicare il virus stesso.

Il passato ci parla

Virus è nome latino di genere neutro: in origine non indica una condizione di malattia, ma allude al mondo della natura e al suo potere misterioso: virus è il succo di alcune piante (Plinio, Nat. Hist. 27.35), il vino (Plinio, Nat. Hist. 17.51), il veleno degli animali (Plinio, Nat. Hist. 8.85). Tendenzialmente, però, il termine ha un valore negativo: molto spesso malumvirus o exitialevirus è espressione utilizzata per il “veleno malefico” o “mortale” dei serpenti (così in Virgilio, Geor. 1.129, 3.149; Plinio, Hist. Nat. 7.14).

Quando diventa sinonimo di contagioso?

Immunis è voce giuridica derivante dal prefisso negativo in e da munus, che in latino indica l’obbligo o il dovere. Immune è dunque nel mondo antico colui che è esentato da pubblici uffici, tributi e prestazioni onerose, mentre l’estensione all’ambito medico è piuttosto tarda e segnala la capacità dell’organismo di difendersi da determinati agenti infettivi, risultando così esente da quella specifica malattia. In senso figurato, immunis è anche colui che è moralmente puro, cioè non macchiato da alcuna colpa. Una analoga declinazione morale è insidiosamente associata anche al concetto di contagium, voce dotta derivante dal verbo latino contingere, a sua volta composto da con e da tangere, “toccare”.

In Ovidio virus indica il veleno fatale proveniente da creature mostruose e potentissime, come Echidna (Met. 4.501), l’idra di Lerna (Met. 9.158), o la maga Circe che, respinta da Pico, sparge attorno a sé una sostanza nefasta che trasforma gli uomini in bestie (Met. 14.403). Nel latino tardo, dunque, virulentum assume il significato di “velenoso”: eppure bisognerà aspettare l’età moderna perché si attesti definitivamente come sinonimo di “contagioso”.

Così, il contagio è spesso considerato come il morbo che tocca, corrompe e contamina, e il contagiato è colui che viene infettato da una malattia che lo rende “impuro” e, in quanto trasmissibile, può rendere impuri anche gli altri.

Nell’attuale emergenza sanitaria da Covid, si parla spesso di pandemia e, più recentemente, del passaggio da una fase pandemica a una endemica. Pandemia deriva dal greco pan, “tutto”, e dēmos, “popolo”: indica cioè una malattia ad amplissima diffusione, talmente ampia da abbracciare la terra intera, coinvolgendo tutte le popolazioni che in essa vivono. Endemia è invece termine connesso a una malattia diffusiva, ma circoscritta a un determinato territorio: endemico, derivante dal greco en dēmos, letteralmente “nel popolo”, viene utilizzato nella medicina antica, per il morbo diffuso tra la popolazione di un certo territorio o paese. Questo presuppone un ridimensionamento dell’estensione del contagio, ma non necessariamente una diminuzione della sua intensità. Nella medicina tradizionale, la presunta origine divina delle malattie richiedeva come cura purificazioni, incantesimi, formule magiche. La medicina ippocratica mostra invece, per la prima volta, un approccio razionale e sistematico alla prognostica e alla diagnostica, usando la previsione e la schematizzazione dei sintomi alla ricerca della aitia, cioè della causa.

Significativo per la prevenzione da Covid è legata alla sintomatologia. La parola greca utilizzata per i sintomi è, per lo più, sēmeia, “segni”: il morbo si manifesta attraverso segni che il medico deve saper leggere e interpretare, come un alfabeto sconosciuto ai più ma non allo scienziato competente.

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