Cosa cambierà con la destra sul piano culturale?

di Marcello Veneziani. Ma cambierà qualcosa sul piano culturale con l’avvento della destra al governo per la prima volta nella storia della repubblica italiana? Ci saranno mutazioni sul piano delle idee e dei princìpi di fondo, dei valori comuni e della mentalità dominante?

Il pensiero conservatore, comunitario e identitario uscirà dalla marginalità e avrà un’adeguata rilevanza con un governo conservatore, nazionale e identitario? I tempi della cultura sono più lunghi e asimmetrici rispetto agli assetti politici. La cultura è un fiume carsico, sotterraneo, non va al passo del potere: non confondiamo la circolazione delle idee con il potere culturale nelle istituzioni e nei mass media. Non ci saranno colpi di spugna, bacchette magiche o addirittura circolari ministeriali che cambieranno lo stato culturale del nostro paese. Nessuno può imporre in una società globale, mutante e fluttuante, una linea o addirittura una direzione di pensiero. Tanto più che da decenni non è il pensiero a orientare e nemmeno a influenzare le scelte di fondo della politica.

Dunque, non cambierà nulla con la destra al governo, tutto andrà avanti come prima, solo un’attenzione maggiore alla realtà e alle questioni pratiche e un minore impatto ideologico?

La destra non ha intellettuali organici, li ritiene un’aberrazione di chi vuole irreggimentare la cultura, con potere di veto e pretesa di direzione. E anche gli “intellettuali di destra” non sono un Intellettuale Collettivo e sono refrattari a ogni riduzione al ruolo di funzionari e militanti. Del resto un vero intellettuale è sempre “fuori formato” e fuori da ogni format politico; il suo sguardo, la sua visione, non si adegua agli opportunismi contingenti della politica, ai compromessi del momento e alle trasformazioni necessarie per governare. D’altronde la Meloni non porta con sé un nucleo organico di esponenti che esprimono coerenti orientamenti sul piano delle idee, del giudizio storico e dell’elaborazione di un modello culturale alternativo.

E allora cosa auspicare? Sarebbe già un gran risultato se gradualmente si conquistassero almeno le pari opportunità culturali. Nelle società frammentate e conflittuali come la nostra, dominate da un “nichilismo pratico” e da un rigetto di ogni principio superiore di riferimento, sarebbe già un enorme passo avanti se il pensiero conservatore, comunitario e identitario, la concezione dell’Europa come civiltà e tradizione, avesse pari dignità di cittadinanza, pari visibilità rispetto all’ideologia progressista, globalista e radical che domina nella nostra società e nei suoi ambiti culturali. Non è più tempo di valori assoluti ma è tempo di scelte differenti. Sarebbe già un bel passo avanti se chi si richiama, per semplificare, ai principi di Dio, patria e famiglia – declinati però con la sensibilità, il linguaggio e le contraddizioni del nostro tempo – avesse pari possibilità di riconoscimento di chi brandisce i temi dell’inclusione, dei diritti civili e dei migranti come se fossero imperativi assoluti e indiscutibili. Del resto, la storia non ha una direzione unica, obbligata e prefissata e nessuno ne ha il monopolio.

Chi rifiuta una società politeista, plurale, sottratta alla tirannia del Pensiero Unico, ha come unica alternativa la guerra permanente, lo scontro finale. Meglio dunque riconoscere un perimetro di norme condivise e una reciproca legittimazione nel rispetto delle idee altrui, e poi tentare la navigazione in un mondo inevitabilmente diviso. Nessuna dichiarazione di superiorità, di infallibilità, di suprematismo, ma un costante sforzo di convivenza e coabitazione, nel confronto e la competizione delle idee. Finora non è stato così: la visione conservatrice, comunitaria, identitaria, non ha mai avuto spazio, dignità e legittimazione; è stata cancellata, silenziata e ricacciata nell’infamia del passato, ridotta a barbarie, residuo tossico e superstizioso di concezioni reazionarie, fasciste, disumane.

Per anni quella visione, che pure è condivisa da tanti, a vari livelli di cultura e capacità, non ha avuto cittadinanza e riconoscimento culturale. Ora, il successo elettorale della destra politica, la crescente adesione a opinioni, idee che sono la versione popolare di quella cultura, ne ha riconosciuto la piena cittadinanza.

Sarebbe perciò grande risultato se venisse finalmente sgonfiata e smontata la presunzione di superiorità della sinistra progressista e fosse accolto un sano bipolarismo delle idee e delle opinioni. Naturalmente dico bipolarismo ma tra le due posizioni opposte ci sono gradini intermedi e differenze più articolate. Tutto questo dovrebbe essere chiamato con un nome semplice: libertà. Si, si tratta di praticare sul serio la libertà, escludendo solo coloro che la calpestano, spesso con la violenza (come quegli studenti che nel nome della libertà impedivano lo svolgimento di un pacifico convegno all’università, ispirato da idee di segno contrario rispetto a quelle della fazione studentesca). Dunque, non si tratta di sostituire un’odiosa egemonia culturale con un’altra di segno contrario, che sarebbe agli occhi di chi non vi si riconosce, parimenti odiosa. Né di sostituire l’esercizio mafioso del potere culturale da parte di un cupola ideologica, con una cupola di segno opposto. Ma di ripristinare la circolazione delle idee, il libero esercizio di confronto e di competizione di visioni culturali opposte. Il contrario di quel che continuano a fare a sinistra (si veda lo schifoso attacco preventivo de la Repubblica al ministro della cultura Sangiuliano, da parte di un merlo che ha sciolto nell’acido il cervello).

Certo, chi governa non dovrà rimangiarsi i suoi orientamenti, al solo scopo di galleggiare; governerà nel nome di quelle idee e riceverà liberi consensi o dissensi. Ma sul piano culturale va riconosciuta pari dignità alla diversità delle idee, senza maledizioni e cancellazioni. Piccola lezione di libertà a chi ritiene di averne il monopolio.

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/cosa-cambiera-con-la-destra-sul-piano-culturale/

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