Alger, la Blanche. Alla ricerca delle città di Camus e della Rivoluzione.

di Agostino Spataro. Mi sveglia un sole aggressivo, insolente che penetra la finestra della mia ariosa camera dell’hotel El Aurassi. Da quando ho smesso di portare l’orologio (per non subirne il condizionamento… ), il Sole è divenuto una sorta di meccanismo regolatore del mio tempo.

Come ai tempi dei nostri vecchi contadini i quali regolavano, controllavano il loro tempo (di lavoro e di vita) con una serie di riferimenti astrali: il sole per la lunga giornata, la luna, la “puddrara” (stella polare), u triali, ecc, per la notte breve.
Dalla terrazza ammiro il panorama della città degradante verso il mare, la distesa di navi in attesa di attraccare nelle banchine del porto. Le conto. Ne riesco a scorgere 58. Altre ve ne saranno nella rada, a ponente.
Navi di varia stazza, grandi e grandissime danno luogo a uno scenario impressionante. Per me inedito. Non capisco se l’attesa sia dovuta a ritardi nel lavoro di scarico/carico oppure se i traffici dell’Algeria con il mondo si sono incrementati oltre misura.
Algeri, un tempo regno e rifugio dorato per orde di pirati, oggi dispone del più grande porto commerciale dell’Africa.
Alle 8,30 ho l’appuntamento con il compagno francese Ravenel che incontro nella hall dell’hotel, presente.
il giovane rappresentante del Pasok (partito socialista greco). Esco per un giro in città. Mi attira questa città gelosa dei suoi misteri, della sua storia. Città mediterranea per eccellenza che ha ispirato tanti romanzi di Albert Camus, ma anche capitale della più grande Rivoluzione africana, quella immortalata da Gillo Pontecorvo ne “La battaglia di Algeri”.
Due città in una, ancora esistenti anche se vissute meno intensamente nel loro nucleo storico fondamentale ossia la casbah, luogo della resistenza, della riscossa del Fronte di liberazione nazionale (Fln) di Ben Bella, Boumedienne e dei tanti eroi, uomini e donne, caduti combattendo nelle loro piazze e viuzze anguste e fatiscenti, dove dietro ogni porta si nasconde un mistero.

Scendo giù dalla collina verso il centro. Una lunga scalinata che costeggia la vecchia casbah semi-abbandonata e conduce a “Piazza degli eroi della Rivoluzione”.

Leggo che l’università di Algeri ha redatto un progetto mirato a recuperare la casbah in collaborazione con alcuni atenei italiani, fra cui quello di Palermo.

Qui si stanno muovendo. Da noi i centri storici, i grandiosi monumenti di città come Napoli, Palermo, ecc languono abbandonati e senza speranza di un recupero integrale a breve termine.

Mi piace tantissimo passeggiare per il centro di Algeri che, ormai, conosco piuttosto bene. E’ sempre gradevole rivederlo, soffermarsi a scoprire angoli ignoti, vedere i bambini che giocano a palla.

In genere le vie seguono una traiettoria sud – nord ossia collegando l’influsso del deserto che preme da sud e l’odore inconfondibile del mare a settentrione. Deserto e mare: due vastità immense che preservano Algeri, la bianca.

Lungo queste vie, specie le più larghe, si può notare un fenomeno raro determinato dal corso del sole. Nella mattinata il lato occidentale della strada è praticamente impraticabile per via di un sole implacabile che nel pomeriggio-sera imperverserà nel lato orientale.

Qui, il sole che non fa sconti a nessuno.

Algeri la “bianca”, bella e pezzente, ma fiera e orgogliosa. Una città dove anche la morte era felice. Secondo Albert Camus. Mentre discendo per quelle stradine mi si avventano le immagini liquide di Algeri immersa in un biancore intenso che – a tratti- illumina le pagine inquiete de “La morte felice”.

Ci possono essere diverse Algeri in una. Secondo come la si vede o la si vive. Qui sono immerso nell’Algeri berbera e coloniale di Camus con i suoi tram e la pioggia leggera, insistente come a Parigi. Chissà dove si trova la della stanza disadorna, dove un uomo tozzo e greve arde di passione per la sua donna?

Sto cercando le due città: di Camus e della rivoluzione.

Vado avanti tra la gente, guardo le vetrine austere dei negozi: merce povera e prezzi alti. Chi potrà comprare a questi prezzi?

Nell’altro lato della via vi batte un sole impietoso. Rarissimi i passanti. Solo qualche donna intabarrata, con gli occhi ornati da un filo di henné. Un disastro per i negozianti i quali per vedere arrivare un cliente devono attendere il pomeriggio/sera, quando il sole si sposta a occidente.

Sole d’oriente e sole d’occidente. Più che i decreti, il sole sembra svolgere una giusta funzione regolatrice, compensatrice del commercio.

Nella casbah di Algeri

Oltrepasso la “gran Porte” e m’immetto sotto i portici che costeggiano le banchine del porto. In fondo, il mare placido, brillante di sole e affollato di navi. Il nostro Mediterraneo ossia il “mare nostrum” dei romani oggi è di tutti i popoli che vi si affacciano lungo le tre sponde. Questo è fra i più grandi risultati della  rivoluzione anticoloniale: oggi il mare è di tutti, regolato da una convenzione internazionale che ne garantisce l’uso e ne vieta l’abuso.

Sotto l’ombra eterna dei portici la vita ferve. Ognuno vende quel che produce. Non si vedono questuanti. Un uomo mi domanda qualcosa. Parla in arabo o in kabilo. Non so distinguere. Non mi resta che allargare le braccia, desolato, per fargli capire che non conosco la sua lingua.

Come il solito, non tutti mi credono: le mie sembianze somigliano molto alle loro. Forse, sospettano di avere davanti il classico migrante arabo arricchitosi in Europa e che finge di non saper parlare per non abbassarsi alla condizione umana da cui era fuggito. Chissà?

All’omino che mi guarda perplesso dico che sono italiano del Sud. Si sente come rinfrancato nello spirito, si apre con un sorriso che mostra un paio di denti d’argento.

“Italia champion!”. Si riferiva alla recente vittoria ai mondiali di calcio.

Riecco il mare. Cammino, svogliato, sull’alta riviera a picco sul mare. Anche qui il lavoro, la vita fervono. Vita marinara animata da pescatori, da gente di fatica che fa la spola dai battelli ai camioncini dei mercanti di pesce. Avanti e indietro, a piedi nudi. Oltre questa linea iniziano gli sterminate “banlieux” . Un altro mondo mi è stato detto. Mi fermo a riposare sotto un albero. Accendo una sigaretta. Mi torna in mente Camus. Quella casa assolata in riva al mare di Algeri con le sue donne. Sarà esistita per davvero o era frutto della sua fantasia? O, forse, si trova più in là, verso ponente, nella pianura che ospita l’aeroporto?

Nel romanzo si parla di colline declinanti verso il mare. E qui ci sono le colline, ma non si vede alcuna casa isolata in mezzo agli alberi, dove anche la morte era felice.

Sarà stata inghiottita dal cemento. Guardo il sole. A perpendicolo. E’ tempo di rientrare in hotel per il pranzo.

Centro storico di Algeri

Nel tardo pomeriggio ritorno nella grande piazza, dove si affacciano il bellissimo palazzo della Prefettura e quello dell’Assemblea nazionale e altri esemplari architettonici davvero di rilievo.

Mi attira una lunga scalinata in direzione della casbah. Mi inerpico e giungo in una avenue in orizzontale assai animata di persone che si aggirano per negozi, bar, ristorantini, friggitorie, ecc.

Ma che strano! Stamattina la stessa via era quasi deserta. Ora c’è una gran folla.

Sicuramente, la gente festeggia il 20° anniversario della Indipendenza.

La folla é più densa, animata: gruppi di giovani, coppie con bambini e anziani al seguito. Soprattutto, mi colpisce la vista di tutte quelle donne che passeggiano per la pubblica via.

I caffè sono aperti e pieni di avventori in piedi o seduti ai tavoli.

Anch’io cerco un posto. Mi avvicino a un tavolo che aveva un paio di sedie libere. Domando permesso e gli avventori m’invitano a sedere con loro.

Bevo un caffè: un disastro. Gradevole, invece, la bevanda fresca al limone.

Chiedo ai miei convitati la ragione di quell’affollamento. Ero convinto che fosse per la vittoria dell’Indipendenza.

Invece, un giovane mi dice: “C’est le Ramadan!”

Il Ramadan e la Rivoluzione qui, come altrove, convivono. Debbono convivere, altrimenti è la guerra civile.

Che cosa è la rivoluzione? In che cosa consiste? Forse, nel fatto di vedere alcune donne sedute ai tavolini dei bar. Lo scorso dicembre (sempre ad Algeri) mi avevano spiegato che le donne algerine non potevano entrare in un locale pubblico e ancor meno sedersi a un tavolino all’aperto.

Solo gli uomini possono farlo. In otto mesi, un altro passo avanti. Anche le donne possono sedersi ai tavoli dei bar nella pubblica via. La rivoluzione continua.

Mi guardo intorno. Non scorgo tracce della città di Camus. Il suo mondo, il suo personale mondo franco-algerino è scomparso, ristretto fra la rivoluzione di chiara impronta socialista e l’identità islamica in risveglio. Entrambe hanno da recuperare un lungo periodo di sonno, di sofferenza provocata dalla dominazione coloniale francese.

Sospendo la ricerca su Camus e cerco di capire cosa sta succedendo in questa Algeri che festeggia il 20° anniversario dell’indipendenza nel bel mezzo del mese santo del ramadan.

Prima d’imboccare la grande scalinata che porta all’hotel visito la mostra della metropolitana di Algeri, in costruzione.

Sono esposte le tavole delle linee e i dati dei programmi di realizzazione delle opere. Sarà il primo metrò d’Africa. Un altro bel primato per Algeri.

Al culmine della scalinata, da una piazzetta attigua all’hotel Aurassi, mi giungono musiche e canti della tradizione popolare. Domando e mi dicono che si tratta di una manifestazione musicale, di una sorta di festival, organizzato nel quadro delle celebrazioni per il 20° della Rivoluzione.

Attraverso un bellissimo giardino e giungo sul luogo da cui proveniva la musica.

Al cancello c’è un poliziotto che regola le entrate nella cavea. Chiedo di entrare e mi accontenta subito.

Effettivamente, era in corso una festa popolare animata da alcuni gruppi folcloristici che sfoggiavano costumi assai accesi, scintillanti, e intonavano nenia berbere, accompagnati dalla corale del pubblico.

Il bravo poliziotto mi consiglia di assistere all’evento da dietro il palco per evitare d’incappare nel sistema di regolazione del pubblico debitamente suddiviso in due settori: uno per gli uomini e un altro per le donne e i bambini. Evidentemente, qui la rivoluzione tarda ad arrivare.

C’è un po’ di nervosismo fra la gente, qualche cenno di protesta per quella rigida ripartizione del pubblico che non divide solo i due blocchi (uomini e donne), ma anche le famiglie, con padri e madri e figli che certo non possono divertirsi restando separati.

La casbah di Algeri, particolare

All’alba mi sveglia il canto un po’ lugubre del muezzin della vicina moschea. La sua voce bovina ricorda ai fedeli la prima (su cinque) preghiera che ogni buon musulmano è tenuto a recitare durante la giornata.  Mi affaccio alla finestra e ammiro la città sottostante ancora imbrillantata dai lampioni accesi. E’ veramente bella nella sua esposizione a ferro di cavallo le cui propaggini affondano nel mare, dove le luci delle navi, ancorate nella rada, prolungano e vivacizzano la fantastica visione.

A un tratto si accendono le finestre delle case. Gli uomini e le donne rispondono al richiamo dei muezzin.  Cerco d’immaginare l’interno di queste case illuminate a un’ora così presto del mattino con i fedeli piegati verso la “pietra nera” della Mecca a invocare la misericordia di Allah e del suo profeta Maometto.

Perché meravigliarsi? Ieri, Chadli, presidente della Repubblica popolare socialista d’Algeria, ha iniziato il suo discorso alla nazione, in occasione del 20° anniversario della Rivoluzione, invocando l’aiuto di Allah “potente e misericordioso”. Probabilmente ritenendo che senza l’aiuto divino non si potranno realizzare gli ambiziosi programmi della rivoluzione.

Un compagno dell’entourage di Cheriet (responsabile esteri del Fln) mi ha detto che anche in Algeria c’è un forte risveglio dell’Islam, anzi dell’islamismo. Si nota un certo fervore nelle moschee, mentre hanno ripreso la loro azione, specie all’interno delle università, i gruppi dei “Fratelli musulmani” che in tutto il mondo islamico costituiscono una sorta di contropotere nei confronti di quei regimi, talvolta dittatoriali, che si atteggiano agli occhi del mondo come laici e progressisti.

Specie dopo la vittoriosa rivoluzione sciita in Iran, la dirigenza algerina si è posto il problema d’individuare forme nuove, di equilibrio e di convivenza, fra le spinte islamiste e il carattere socialista dello Stato…

Alle ore 12,30 un’auto di servizio mi accompagna all’aeroporto. Il giovane autista è molto espressivo e desideroso di scambiare quattro chiacchiere. Il tema è la vittoria dell’Italia (contro la Germania) nella finale dei mondiali di calcio di Madrid. Mostra di conoscere le più importanti squadre italiane, i loro bomber, ecc. Vuol sapere di questo o di quello. Spesso sono costretto a deluderlo poiché non conosco tutti i nomi e le formazioni richiamati.

Gli offro una sigaretta che rifiuta con un sorriso bonario. Chiedo se non fumasse.

“No. Ramadan” – risponde. Mi spiega che di giorno, oltre al digiuno, bisogna osservare alcuni divieti tra cui quello di fumare, di bere, ecc.

Il meccanismo scatta con l’annuncio della prima preghiera e si conclude verso le ore 20,00, con il tramonto del sole. Sono esentati dai divieti soltanto alcune categorie quali i ragazzini sotto i 14 anni, le donne in gravidanza, gli uomini in viaggio o in guerra.

Dopo 16 ore di astinenze, il buon musulmano si potrà concedere un pasto abbondante, qualche divertimento e una ridondante fumata con il narghillé. In quelle otto ore della notte devono recuperare tutto quello che hanno patito durante le 16 ore della caldissima giornata del Ramadan.

Alle 20, 00 tutti a tavola, in famiglia o al ristorante, per consumare un lauto pasto. Dopo la cena si esce per strada, fra la folla, si va al caffè, al cinema, ad assistere a uno dei tanti spettacoli musicali o teatrali. A notte inoltrata, il rientro a casa. C’è tempo per un altro spuntino. Chi può incontra il coniuge a letto…Insomma, la notte del ramadan non è fatta per dormire!

All’alba, ritorna la voce implacabile del muezzin… E il ciclo riprende.

(*Da “Memorie di un rivoluzionario di professione” /titolo provvisorio di un libro in corso di redazione)

You may also like...

6 Responses

  1. Doctor ha detto:

    Una storia che ha dell’incredibile quella che arriva dal Regno Unito: un uomo ha avuto il Covid per ben 505 giorni prima di morire. E non è tutto. Nel periodo in cui è stato positivo, il virus sarebbe mutato dieci volte, facendo emergere separatamente diverse varianti tra cui Alpha, Gamma e Omicron. Il paziente aveva un sistema immunitario indebolito e aveva contratto il virus nel 2020. I ricercatori del King’s College London e della fondazione Nhs di Guy e St Thomas hanno studiato i pazienti vulnerabili alle infezioni da Covid di lunga durata. In particolare, ne hanno seguiti nove, per vedere come si è evoluto il virus nel corso della loro infezione. Tutti avevano un sistema immunitario indebolito a causa di trapianti di organi, HIV, cancro o terapie per altre malattie. Quattro di loro sono morti, con il Covid che ha contribuito a circa un terzo di quei decessi.”Questi individui sembrano avere scarse possibilità di guarigione quando l’infezione persiste in loro così a lungo. L’obiettivo è quello di sviluppare trattamenti migliori per eliminare le infezioni a beneficio del paziente”, ha detto il dottor Luke Blagdon Snell, ricercatore clinico presso Guy’s. E’ d’accordo la dottoressa Gaia Nebbia, coautrice dello studio, che ha invocato l’urgenza di nuove strategie di trattamento per aiutare i pazienti a eliminare le infezioni persistenti: “Questo potrebbe anche prevenire l’emergere di varianti”.

  2. ULTRAS ha detto:

    Gonzalo Lira è vivo. Il giornalista americano ha rivelato ciò che gli è accaduto. Il famigerato servizio segreto ucraino, lo SBU autore della psy-op di Bucha, lo ha prelevato dal suo appartamento e lo ha messo agli arresti. A rivelare agli squadroni di nazisti di Zelensky il luogo esatto in cui si trovava è stato il quotidiano sorosiano “The Daily Beast” che in questa storia ha assunto il ruolo di delatori degli assassini di Kiev.

    A Gonzalo è stato esplicitamente vietato di rivelare ciò che gli è accaduto. Il giornalista si è detto molto “scosso” e “scombussolato”, ed è alquanto probabile che sia stato sottoposto a torture da parte dei tirapiedi di Zelensky. La vergogna di quanto accaduto a Gonzalo Lira vittima di spregevole è inferiore soltanto alla vergogna che i media di regime dovrebbero provare per non aver detto nemmeno una parola sul fatto che un giornalista indipendente è stato rapito e deportato dalla sua casa per essere torturato.

  3. Via Torino ha detto:

    E a Mariupol intanto è tornata la normalità. Sono le immagini che non vediamo sui media Occidentali. Troppo impegnati ad accusare la Russia dei crimini in realtà commessi dai tagliagole nazisti. Le scuole nella città liberata dai russi hanno riaperto. Si iniziano di nuovo a vedere i bambini che stanno assieme e che giocano. Si inizia a vedere ciò che sotto il regime di Vlodomyr Zelensky era sempre più raro. In questo regime, i bambini erano abusati e spesso finivano nella tratta della pedofilia internazionale. Nessuno ha denunciato quello che accadeva da quando i nazisti hanno preso il potere. Nessuno lo ha denunciato perché coloro che avrebbero dovuto farlo, l’UE e i media europei, non erano e non sono dalla parte dei bambini. Erano e sono dalla parte degli assassini nazisti.

  4. Den ha detto:

    Più che un tweet, questa è una vera e propria richiesta di SOS da parte di Hillary Clinton. La Clinton in pratica ha trasmesso un ordine all’UE di approvare la legge sui digitali servizi che in pratica non è altro che un bavaglio alla libera informazione. È interessante notare come la Clinton abbia rivolto la sua richiesta proprio all’UE. Cos’è che la Clinton non vuole che venga diffuso “prima che sia troppo tardi”? In questi giorni vediamo che sta affiorando nuovamente alla superficie lo scandalo dello Spygate. John Durham sembra molto vicino all’incriminazione della stessa Clinton, mente del golpe per rovesciare Trump. E questo golpe è stato attuato attraverso la collaborazione decisiva dello stato profondo Italiano. Sono in molti ad avere paura di questo scandalo ma soprattutto coloro che sono in preda al panico sono proprio qui in Italia.

  5. ROVAZZO - TO ha detto:

    Elon Musk ha fatto sapere che se la sua scalata di Twitter dovesse avere successo di libererà di tutti i bot e dei profili falsi. Non sorprende che BlackRock e Vanguard non vogliano cedere la proprietà di Twitter. I bot e i profili falsi costituiscono ormai più del 50% degli utenti che sono su quella piattaforma. Ci sono eserciti di bot che vengono sguinzagliati contro coloro che si discostano dalla narrazione globalista e gli stessi eserciti sono quelli che condividono i tweet dei vari personaggi della politica italiana e internazionale. Quando vedete il politico di turno che nel mondo reale è nel migliore dei casi ignorato o nel peggiore insultato, ricevere molti rt è perché si mette in moto quella ciurma di profili falsi che ricondividono il suo tweet. Twitter è da tempo che pratica la censura più indiscriminata. Io stesso ne so qualcosa. Il mio profilo ha subito un oscuramento già dal 2019 quando molte persone non vedevano più i miei tweet. Evidentemente non bastava più nemmeno quello perché nel 2021 me lo chiusero definitivamente quando la denuncia nei confronti dello stato profondo Italiano e delle false opposizioni (Lega, Fratelli e derivati vari) si era intensificata. In questo momento, un po’ ovunque hanno paura di Musk perché su Musk prende quella piattaforma si scoprono tutti gli altarini e si scopre anche probabilmente da chi sono partiti gli ordini per chiudere determinati profili che rappresentavano una minaccia per alcuni poteri. Non sorprende che lo stato profondo Italiano abbia paura. Le bordate che stanno arrivando sono di quelle che lasciano dietro di sé soltanto un cumulo di macerie.

  6. Treu ha detto:

    La crisi generata dalla pandemia comincia a far sentire i suoi effetti diretti sulle famiglie italiane . Negli ultimi 12 mesi, infatti, è cresciuto di quasi 1 miliardo di euro l’ammontare delle rate non pagate relative ai mutui e ai prestiti concessi dalle banche. Seppure l’importo non è ancora particolarmente rilevante, si tratta di una brusca inversione di tendenza dopo quasi sei anni consecutivi di riduzione del credito deteriorato riconducibile alla clientela privata, calato progressivamente da maggio 2016. Il totale delle sofferenze” delle famiglie, finanziariamente piegate dal Covid, è passato, da febbraio 2021 a febbraio 2022, quindi prima dell’inizio del conflitto, da 11 miliardi e 559 milioni a 12 miliardi e 373 milioni con una crescita, in un anno, del 7, 04% corrispondente, per l’esattezza, a 804 milioni. A fare i conti ci ha pensato il centro studi del sindacato bancario Fabi secondo cui risulta ancora più vistosa l’impennata delle sofferenze bancarie legato alle famiglie se ci si limita a osservare il che va da novembre 2021 a febbraio 2022: in soli tre mesi , si è registrato un incremento di 1 miliardo e 476 milioni (più 13,55%). Resta ora da capire quale sarà l’impatto della guerra e del caro energia, tenendo conto che nell’ultimo anno insieme alle sofferenze sono cresciuti anche iprestiti , saliti di circa 19 miliardi, da 641 a 660 miliardi. Il che fa immaginare che nei prossimi mesi la mancanza di liquidità e la difficoltà di ripagare i finanziamenti si trasformerà in una vera propria e emergenza sociale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *