Avete mai incontrato un cyber bullo? Provo a presentarvene qualcuno!
la gravità delle azioni che compie, e non solo online con il proprio dispositivo ma soprattutto con quello altrui che riesce ad “accaparrarsi” con estrema facilità vantando la propria superiorità nel saperlo utilizzare. Il cyber bullo usa internet per raggiungere quel livello di auto stima che non riuscirebbe a raggiungere incontrando gli altri di persona e fa affidamento su quella falsa idea di protezione trasmessa dalla rete, luogo “reale” in cui è come se agisse protetto da uno scudo; il cyber bullo è un “webete” calzato e vestito che maneggia inconsapevolmente la rete arrecando danno a se stesso e agli altri. I cyber bulli conoscono le proprie vittime molto spesso tra i banchi di scuola ma anche in palestra o all’oratorio. Tramite il click del mouse, o più spesso l’utilizzo di una applicazione sullo smartphone, si sostituiscono ai compagni che si sentono meno portati a compiere certe azioni sui social network (“mi presti il tuo account che devo leggermi i messaggi che non ho più giga nel mio telefono?” “Mi lasci il tuo telefono che devo vedere una cosa sul mio profilo?” “Mi dici la tua password di accesso a Instagram che voglio leggermi un post che ho il cellulare scarico?”); e così, per conto di altri, il bullo diffonde immagini e informazioni, raccontando particolari personali o dichiarando disponibilità sessuali a nome delle “malcapitate/i” compagne/i quasi sempre ignari, salvo poi scoprire l’inganno quando l’azione perpetrata a loro insaputa è già virale grazie al branco di supporto al cyber bullo. Già il branco… il cyber bullo riesce quasi sempre ad “assoldare” un efficientissimo “branco” in grado di contribuire alla “viralità” di immagini piuttosto che alla creazione di gruppi social o chat dei quali ovviamente non è consentito far parte alla “preda” prescelta. Obiettivo? Escludere il più possibile la vittima facendole provare quel senso di solitudine, inadeguatezza, nullità e vergogna che purtroppo le impedisce di raccontare quel che vive, un autentico incubo senza alcun confine spazio temporale, (la rete non ne ha purtroppo). “Su dai era uno scherzo!“ … ed è sentendosi ripetere questa frase che la vittima, sempre più bullizzata, si sente ancora più “stupida” e sola. Con l’avanzare dell’età dei cyber bulli, i comportanti diventano più articolati, più vessatori, più simili a veri e propri maltrattamenti ripetuti. Col sexting, la sempre più diffusa variante del cyber bullismo, entrano poi in gioco sentimenti e rapporti “amorosi”, quelli del “siccome ti amerò per sempre e sarò sempre tua te lo dimostro inviandoti questi scatti” ma … i due, ahimè, quasi certamente si lasceranno (parliamo di pre adolescenti) e quegli scatti intimi smetteranno di essere privati finendo su gruppi di WhatsApp, pagine social ecc. Il senso di vergogna provato in questi casi dalla vittima porta ai gesti più estremi. “Chi è un cyber bullo?” E’ la domanda che sempre più spesso mi sento fare da amici, mamme e papà, da chi mi scrive, dagli insegnanti che incontro agli eventi che in questo periodo mi vedono impegnata nelle scuole per parlare di competenze digitali … e provando a raccontarlo, ho risposto soprattutto a tutti quei genitori che nemmeno se lo sono ancora chiesti chi è un cyber bullo, dando per scontato che si tratti di un fenomeno lontano anni luce da quanto potrebbe mai capitare ai propri figli, un po’ come una malattia grave, quella che immaginiamo sempre come una sciagura altrui … salvo poi ricrederci, purtroppo. Ultimamente è un tema molto presente sui canali di diffusione tradizionali e non ma solo perché i casi più eclatanti, quelli che hanno tutte le carte in regola por poter essere raccontati dalle strisce pomeridiane della “tv del dolore”, sono aumentati in maniera esponenziale col crescere della fruizione inconsapevole delle tecnologie da parte di chi, già bullo, possiede oggi con Whatsapp delle “armi” più cruente per perpetrare le proprie aggressioni seriali. Ma lui era già un bullo, non dimentichiamocelo È il Telefono Azzurro a dirci che se consideriamo le percentuali di chi si difende da solo da un’azione di cyber bullismo, di chi ammette di subire insulti e persecuzioni senza reagire e di chi si confida soltanto con un amico, arriviamo a un 80 per cento di “non emersione” del fenomeno. Il cyber bullismo è ancora in grandissima parte sommerso poiché ciò che accomuna la quasi totalità delle vittime è proprio il silenzio al verificarsi di certi episodi. Quelli che ne parlano ai genitori o agli insegnanti sono una minoranza risicata rispetto al fenomeno che è sempre più diffuso. Lo studio dell’Istat ci rivela che più del 50% degli 11-17enni è rimasta vittima di episodi e ad essere più colpite sono le ragazze (oltre il 55% contro il 49,9% dei maschi). Rischiano di più anche i ragazzi più giovani rispetto agli adolescenti: circa il 7% degli 11-13enni dichiara di essere stato vittima una o più volte al mese di prepotenze tramite cellulare o internet nell’ultimo anno, mentre la quota scende al 5,2% se la vittima ha un’età compresa tra 14 e 17 anni. Difendersi non è semplice perché Internet, a cui ormai si accede solo da smartphone e in mobilità, è l’oggetto posseduto da oltre l’80% dei ragazzi con più di 10 anni. Già, la soglia è scesa a 10 anni di età “E secondo lei chi glielo da lo smartphone a 10 anni a un bambino?” mi ha detto tempo fa un Commissario di Polizia! Quelli citati sono solo alcuni dei comportamenti devianti più spesso arrivati all’attenzione degli agenti della Polizia delle Comunicazioni prima che culminino nei gesti più estremi, quelli che conosciamo grazie ai recenti fatti di cronaca che oramai hanno una cadenza quasi quotidiana. Quando dopo una denuncia intervengono gli agenti per fermare azioni di cyber bullismo spesso si hanno delle reazioni di stupore, di vergogna e lacrime da parte dei cyber bulli più giovani che ovviamente non si sono resi conto di quanto fosse stato “feroce” il loro modo di prendere in giro qualcuno. Per quanto siano numerosissimi i casi segnalati negli ultimi tempi, quelli che giungono “agli onori della cronaca” perché denunciati sono davvero una parte irrilevantissima della totalità dei casi registrati dagli organi di Polizia. I “bullizzati” tengono sotto silenzio molte delle prepotenze che subiscono perché ignorano l’esistenza di leggi per tutelarli e perché in fondo la sofferenza di “leggersi” insultati su un social o su un gruppo in chat è motivo di vergogna e testimonianza di una debolezza che non si vuole confessare, non solo alla Polizia ma nemmeno a casa. Primo mito da sfatare: “Mio figlio mi racconta sempre tutto”. Falso! I bullizzati difficilmente si confidano in famiglia che a volte (ed è una fortuna) scopre del disagio del proprio figlio perché altri genitori lo hanno saputo da figli non coinvolti. Secondo mito da sfatare: “Non è un reato è minorenne, si trattava di uno scherzo“. Falso! La maggior parte delle azioni compiute sono reati (lo è ad esempio la sola detenzione di una foto altrui ricevuta via whatsapp) e sono perseguibili penalmente anche i genitori di minorenni. Se so qualcosa sono già coinvolta/o, questo dobbiamo ficcarcelo bene in testa! Ecco perchè la Polizia Postale, oltre che promuovere progetti e campagne di sensibilizzazione per rendere coscienti i giovani del cattivo uso della rete, ha realizzato un decalogo per aiutarci tutti quanti a non cadere in certe trappole, perché, come genitori e come formatori, solo una buona informazione può aiutare a tutelare i ragazzi del nostro tempo.
– La prima regola è condividere l’esperienza Internet, anche a libero accesso. Vietarne l’uso non risolve il fenomeno, anzi potrebbe sortire nei giovani e giovanissimi fenomeni contrari. Serve piuttosto insegnare il comportamento corretto di questi strumenti, e parlarne.
– Rispettare i loro interessi, specie la comunicazione social fatta di sms, whatsApp, Facebook e chat, parte delle loro educazione naturale e quotidianità.
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