di Attilio Runello. Si sono da poco concluse le elezioni in Iran, l’unico paese del Medioriente che da decenni sfida gli Stati Uniti e i suoi alleati: Israele, Arabia Saudita.
Il tentativo di arricchimento dell’uranio nelle sue centrali con lo scopo di realizzare l’arma atomica, la sua costante presenza in aree come Libano, Palestina, Iraq, Yemen ha portato il paese ad essere stremato dalle sanzioni imposte dall’amministrazione Trump.
Il vincitore delle elezioni, Ebrahim Raisi, è un ultraconservatore ma è chiamato – come ha già dichiarato – a negoziare con l’amministrazione Biden la fine delle sanzioni e probabilmente dovrà fare numerose concessioni.
Raisi è ultraconservatore in quanto uno dei persecutori più forte degli oppositori, ma non può essere così insensibile che oggi chi governa ha bisogno del consenso. Consenso che può arrivare da una politica estera aggressiva, ma soprattutto dal migliorare le condizioni economiche della popolazione.
Ha vinto l’astensione. Più della metà dell’elettorato attivo non è andato a votare. La politica di potenza nel Medioriente interessa poco gli iraniani. Hanno giacimenti di petrolio e chiedono che i profitti abbiano una ricaduta economica su tutto il paese. Come avviene in altri paesi del golfo come Kuwait, Emirati.
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