60 anni dal Trattato di Roma.

di Gerardo Lisco. In questi giorni le manifestazioni pro e contro l’Unione Europea si sono moltiplicate. Anche coloro che auspicano la fuoriuscita dall’Unione Europea sul modello della Brexit dimostrano di avere idee alquanto confuse. Come si evince dalle stesse dichiarazioni della Premier britannica May, la stessa Brexit necessita di una qualche forma di cooperazione con il resto dell’Unione Europea per evitare costi eccessivi.
Non è il ritorno tout court alla sovranità nazionale la soluzione. Rispetto all’Unione Europea, per così come è, sembrano delinearsi due posizioni. Una è quella dell’establishment che tende a mantenere lo status quo con alcuni aggiustamenti all’insegna della continuità; l’altra è quella nazional populista che mira alla rottura del sistema e al recupero della sovranità nazionale. Rispetto a queste due posizioni, entrambe di destra, i movimenti democratici e di sinistra per lo più balbettano. A Roma abbiamo visto due manifestazioni organizzate da movimenti di e associazioni politiche di Sinistra. Una organizzata dal movimento Eurostop che è per la fuoriuscita dall’UE e un’altra promossa da DIEM 25, movimento fondato da Varoufakis, che non è per la fuoriuscita ma per una nuova UE democratica e sociale . Tra le due posizioni quella del movimento DIEM 25 appare la più concreta pur presentando dei limiti. Penso che per creare un blocco sociale alternativo ad entrambe le opzioni di destra non sia sufficiente, come propongono Varoufakis e Marsili, partire dai territori e dai movimenti sociali ad essi legati. A sostegno della loro tesi portano gli esempi di Barcellona della Sindaca Colau e della stessa Napoli di De Magistris. A questi due esempi posso aggiungere le prese di posizioni degli amministratori locali italiani contro i vincoli di bilancio imposti dai trattati UE. Ritengo insufficiente la proposta di DIEM 25 perché il neoliberismo, esaltando il mercato, alimenta il conflitto tra gli stessi gruppi sociali subalterni all’establishment venendo meno la necessaria coesione tra sfruttati. Non bisogna dimenticare che questa UE è il prodotto dell’accordo dei ceti dominanti di ciascun Paese e che mirano, attraverso essi, a conservare la posizione dominante. In un saggio dal titolo “ Capitalismi a confronto. Istituzioni e regolazione dell’economia nei paesi europei” Luigi Burroni individua quattro modelli di capitalismo europeo: scandinavo, continentale, anglosassone e mediterraneo. Le distinzioni tra questi modelli riguardano: sistema produttivo, ruolo dello Stato, del credito, tipo di welfare, istruzione, formazione, mercato del lavoro e relazioni industriali. Dalla lettura del saggio di Burroni evinco che ogni modello di capitalismo ha come fine la costruzione di un’ UE funzionale agli interessi dei ceti sociali egemoni di ciascuno Stato. La conseguenza è che la diseguaglianza non esiste solo tra ceti egemoni nazionali e classi sociali subalterne ma anche tra classi sociali subalterne appartenenti ai diversi Stati. Il conflitto sociale è tanto verticale quanto orizzontale. La coesione sociale utile all’egemonia è tra ceti egemoni e non subalterni Per questa ragione partire dalle differenze esistenti tra i modelli sopra richiamati per costruire un blocco sociale unico è cosa alquanto ardua per non dire impossibile. Essendo diversi welfare, istruzioni, redditi, ecc. diversa è anche la diseguaglianza per cui anche le rivendicazioni sono differenti tra i sistemi sociali che compongono l’UE. Come si fa a costruire un blocco sociale transnazionale quando, ad esempio, la moderazione salariale polacca è la disoccupazione italiana? Come si fa a creare un blocco sociale transnazionale quando il surplus commerciale tedesco è il debito pubblico degli altri Paesi UE? La costruzione di un blocco sociale alternativo sia all’establishment che alla destra nazionalista, presuppone una eguale disuguaglianza. Per cui la costruzione di un “Terzo spazio”, nell’accezione di Varoufakis e Marsili, può avvenire solo all’interno di ciascuno Stato. Solo un cambio di segno dei Governi può avviare in modo concreto un‘inversione delle politiche in atto. L’UE fa esattamente ciò che i Governi degli Stati nazionali concordano nel rispetto degli interessi dei singoli ceti dominanti e dei rapporti di forza. I Trattati UE sono il prodotto degli accordi sottoscritti dai singoli Governi a loro volta espressione dei ceti dominanti di ciascun Paese UE. L’opposizione dei movimenti sociali e le prese di posizioni degli enti locali prossimi alle comunità che rappresentano sono sicuramente importanti ma da sole non sono sufficienti. Per mettere in discussione l’impianto complessivo di questa UE bisogna che cambino i Governi e che si formino nuove maggioranze. Hanno invece ragione quando sostengono che vanno costruiti blocchi sociali trasversali. La conflittualità sociale è complessa. Non è più riconducibile al solo conflitto capitale/lavoro. Il conflitto attraversa pezzi di società, territori, generazioni ed altro ancora. L’alternativa passa attraverso il superamento delle diseguali diseguaglianze presenti nella Società europea e ciò è possibile solo cambiando il segno politico dei singoli governi nazionali.

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