Come uscire dal debito pubblico che schiaccia gran parte dei paesi euroepi?

di Mario Seminerio. Questa è la settimana in cui i nostri cugini francesi hanno avuto un risveglio ruvido, in conseguenza del pesante sforamento del deficit del 2023. Una differenza di circa lo 0,6 per cento del Pil, circa 17 miliardi di euro, ma che sta scatenando il dibattito politico e sociale nel paese, oltre a produrre contrasti sulle ricette per riprendere una traiettoria di riduzione.

Torniamo a stretto giro a occuparci della Francia, dunque, perché i loro problemi sono e saranno anche i nostri, e più in generale quelli della Ue: come riordinare i conti in un momento di forti tensioni geopolitiche, elevato fabbisogno di capitale pubblico e privato per gestire la transizione ambientale e tecnologica e rispondere all’onda populista che impedisce di alzare le tasse e ridurre le spese in un contesto di tassi d’interesse elevati e che rischiano di restare tali più a lungo del previsto e rendere nervosi i Bond Vigilantes?

Il primo ministro francese, Gabriel Attal, ha discusso dei temi di politica economica e di bilancio pubblico durante un’intervista al telegiornale delle 20 di TF1, dopo aver tenuto un seminario governativo sui temi del lavoro. Che resta al centro di tensioni, istanze delle parti sociali e criticità finanziarie.

ARIA DI FAMIGLIA SUL LAVORO.

Tra i punti toccati da Attal nel corso dell’intervista, noi italiani troveremo una certa “aria di famiglia”. Ad esempio, il tema delle morti sul lavoro. La Francia nel 2021 ne ha avute 696, che la collocano al quarto posto in Ue in termini di incidenza, dopo Lettonia, Lituania e Malta (l’Italia è all’ottavo posto nello stesso anno). Sul tema, oltre alle solite invocazioni retoriche di intollerabilità della situazione e gli auspici a migliorare le condizioni di lavoro, soprattutto di quelli più pesanti, pare esservi poco di operativo. Ve lo segnalo lo stesso, per evitare che pensiate che il fenomeno riguardi solo l’Italia. Buttare l’ombelico oltre confine, ricordate?

Attal ha poi affrontato il tema, molto sentito in Francia, della caduta dei lavoratori nel regime del salario minimo (Smic) e delle difficoltà ad uscirne. Come segnalavo mesi addietro, nel contesto francese il salario minimo non rappresenta solo un fattore di “risucchio” delle retribuzioni durante le fasi di elevata inflazione, in conseguenza dell’indicizzazione integrale ai prezzi che va più veloce dei rinnovi contrattuali, ma anche un ostacolo alla successiva fuoriuscita. Il motivo è da ricercare nella generosa decontribuzione offerta dallo stato per chi è in regime di salario minimo, che è un potente disincentivo per datori di lavoro e lavoratori ad innalzare le retribuzioni sopra la soglia dello Smic.

Situazioni del genere, per la quale è stato coniato il termine smicardisation che equivale a impoverimento, sono l’ovvio brodo di coltura dei populismi, con le richieste di reintroduzione integrale della scala mobile, per tutti.

Ecco quindi che Attal, diligentemente, propone una decontribuzione per evitare la trappola della smicardisation e annuncia di aver affidato la riflessione a due economisti che tra tre mesi faranno delle proposte. Nel frattempo, l’unica certezza è che serviranno coperture.

Eccone una, calda calda: ridurre gli esborsi per l’indennità di disoccupazione. Che ha come obiettivo la “riattivazione” offertista, che si tratti di illusione o meno. Attualmente, il sussidio viene assegnato per un massimo di 18 mesi a chi ha lavorato almeno sei mesi negli ultimi due anni. Attal pensa si possa scendere a un massimo di 12 mesi e aumentare il periodo di contribuzione richiesto per averne diritto. Pensate a una simile proposta in Italia. Anzi, no: pensatela in Francia. Auguri di cuore.

A voler essere pignoli, una differenza con l’Italia esiste, a parità di obiettivo di decontribuzione: il governo francese immagina coperture reali, da noi il primo anno è stato fatto a puro deficit. Certo, est modus in rebus, nel senso che qualcuno potrebbe dire che non si deve finanziare un intervento a favore del lavoro facendolo pagare al lavoro medesimo. Ma la ricerca di coperture alternative è un’emicrania garantita, sia lato entrate che lato spese, fidatevi.

Il giovane premier francese ha poi toccato il tema, dibattuto anche da noi nei modi che ci sono familiari (cioè di conoscenza eufemisticamente approssimativa e patologica spinta propagandistica, condita da immancabili richieste di sussidi) della settimana corta. Qui la Francia ha importanti peculiarità, perché molto tempo addietro è caduta vittima degli slogan sul “lavorare meno, lavorare tutti”, ha introdotto le 35 ore formali e poi è stata costretta a esibirsi in contorsioni di rara ipocrisia per privare di denti la misura, per evitare sfracelli sull’occupazione.

FLESSIBILITÀ. DI LAVORARE DI PIÙ.

Quindi Attal si trova a percorrere un sentiero più stretto che da noi, e a differenza nostra ha meno margini per raccontare la fiaba che meno ore di lavoro rendono i lavoratori talmente felici da indurli a scoppi di produttività, in una specie di “moto lafferiano” applicato al lavoro. Attal fa quindi considerazioni specifiche al contesto francese e che neppure troppo sotto traccia vanno in direzioni opposte al bengodi di cui favoleggia la sinistra italiana.

“Bisogna liberarsi dalle catene delle 35 ore e dare più flessibilità a chi lo desidera”. Ecco, appunto. Addirittura, ampliando il discorso, Attal dice che c’è una “diseguaglianza” tra chi può fruire del lavoro remoto o agile e chi non può. In attesa che qualcuno proponga di tassare di più il cosiddetto smart working (è già avvenuto ma solo a livello teorico e interessato riguardo all’impatto sull’immobiliare commerciale), Attal indica una strada di “flessibilità” piuttosto banalotta, che verrà sperimentata nel pubblico: quattro giorni a parità di orario di lavoro. “Si arriva un po’ prima, si esce un po’ dopo, e si lavora quattro giorni a settimana”. Come si nota, la declinazione francese del concetto di flessibilità resta condizionata dalle “catene delle 35 ore”, e va in direzioni che non piacerebbero a molti cantastorie italiani.

Quanto al resto, Attal dice no a nuove entrate, e lo si può comprendere, vista l’incidenza stellare della spesa pubblica in Francia, che obbliga a tenere la pressione fiscale su livelli molto elevati. Mi attendo che, a breve, qualcuno dica che è impensabile non riuscire a ridurre una spesa pubblica delle dimensioni di quella francese. Vedete che non si inventa davvero nulla?

Resta il punto che vi ho segnalato, e che vale per ampia parte d’Europa e certamente per l’Italia: come uscire dal deficit, in presenza di crescenti tensioni sociali e di limiti a riduzione di spesa e aumento di entrate? La risposta sarà la levatrice della nuova Europa. Che potrebbe essere ben diversa dall’attuale.

Fonte: https://phastidio.net

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1 Response

  1. Occhio di Lince ha detto:

    Si continuano a stampare banconote NON COPERTE da una percenbtuale anche minima di oro. Ma questo pare nessuno voglia capirlo

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