Vedo… devo pagare il canone Rai!

di Grazia Nonis. La RAI si rassegni, non vincerà il premio eccellenza della comunicazione con la pubblicità: “VEDO-DEVO-PAGARE-IL- CANONE”; spot  che terrorizza gli utenti con televisori che s’accartocciano, e bambini che si tramutano in mostri per costringere i genitori al pagamento dei  113,5 euro e poter continuare a guardare gli eroi televisivi. Centoventimila euro, il costo della campagna pubblicitaria per il pagamento del canone. 
Spot ideato all’interno della RAI ma appaltato ad esterni: e così si spiega l’inspiegabile cifra. Tredicimila dipendenti e non sono in grado di produrre due o tre spot da 30 secondi. Pare mancassero gli strumenti necessari per la loro realizzazione: direttori della fotografia, strumenti per le riprese e parco luci, teatri di posa, montatori, correzione colore. Ma dai! Il mega apparato della nostra televisione di stato, con tanto di carrozzone appresso, che non possiede l’attrezzatura… neanche fosse la pro loco di paese per la pubblicità della sagra del raviolo! E così, noi continuiamo ad odiare questa tassa obbligatoria: che si chiami canone, tassa di possesso o obolo di mamma RAI. La contestiamo perché alla nostra TV di stato dovrebbe bastare l’abbonamento senza pubblicità; o la pubblicità senza i 113,50 euro di abbonamento come per le altre reti televisive private. Non la tolleriamo perché fa da euro-biberon ad un’altra casta:  elargisce denaro a palate alle sue centinaia di dirigenti, al suo mega personale sempre in sovrannumero e agli artisti strapagati e di partitoCosì noi facciamo zapping e immancabilmente incappiamo in un programma ciofeca e borbottiamo: “Ma guarda te se mi tocca pagare il canone per vedere una boiata”. Soprattutto sotto Natale, le feste o nei mesi di estivi quando ci tocca guardare film dell’era giurassica, e telefilm o sceneggiati fotocopia degli anni precedenti. Non ne possiamo più di trasmissioni scondite o farcite di banali opinionisti ripescati dal dimenticatoio televisivo per fare numero e ciaccolare, tanto per far andar la lingua. Ah, certo, non è solo la RAI ad avere qualche spettacolo dedito al vuotismo, purtroppo. Ma se non paghi non pretendi : se cacci il grano diventi schizzinoso. E’ anche una questione di bilanciamento: ottimi programmi che tirano la carretta RAI contrastati dai tanti con voto appena sufficiente che ne frenano il cammino. Ci tocca assistere a trasmissioni satiriche che fanno ridere solo i sinistroidi  che si nutrono esclusivamente di politica, e frotte di comici che senza gli “onorevoli”, loro materia prima, farebbero solo pena. Abbiamo dovuto imparare a ridere solo di comicità politica: fa chic. La comicità alla Totò, per intenderci, la praticano in pochi perché pochi sono all’altezza di farlo. Poi si arriva a febbraio con l’obbligo di super eccitamento per  la “Coop Festival di Sanremo” che dà carta bianca (o rossa) ad autori e  presentatori stra-strapagati che cavano e mettono canzoni e cantanti per la loro “contemporaneità”: sulle note di una cartella esattoriale, il dramma di un esodato o del “spalanchiamo le carceri”? Gli stessi che, con baulate di soldi del nostro canone, si vantano d’ingaggiare VIP stranieri e cantanti internazionali per interviste insipide ed insignificanti. Diteci che non dovremo più sorbirci qualche olalà di una che non si sente più italiana, stile Carlà Brunì,e magari in play back… e pagata! E se l’anno scorso ci siamo sorbiti l’armata rossa che cantava il nostro inno, magari quest’anno ci rallegreranno con quello internazionale comunista. Forse avremo anche la fortuna di sentircelo magnificare da quel toscanaccio birichino di Benigni che, per  poche centinaia di migliaia di euro, spiegherà il suo significato maximo a quelle teste di legno che sbirciano ancora verso destra.

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