Un referendum per ogni “riforma” del governo Renzi!

di Gerardo Lisco. Con il referendum promosso dai Presidenti dei consigli di dieci regioni, ridotte poi a nove, che si terrà il prossimo 17 aprile, avente per oggetto l’abrogazione della norma che prevede lo sfruttamento degli idrocarburi in mare fino all’esaurimento dei giacimenti, si avvia una stagione referendaria dalla quale potrebbe uscire fuori un nuovo scenario politico. Il referendum del 17 aprile scoperchia il vaso di Pandora dal quale salteranno fuori tutte le contraddizioni espresse dal Governo Renzi. In aggiunta a questo referendum movimenti, associazioni, sindacati e comitati hanno iniziato a raccogliere firme per promuoverne altri che riguardano i principali provvedimenti prodotti in questi due anni dal Governo Renzi e cioè: Jobs Act, Buona Scuola per finire con il referendum sulla Costituzione. A questi temi, già di per sé dirompenti perché da soli hanno modificato in senso reazionario e liberista il sistema economico, sociale e politico dell’Italia, se ne aggiungono altri che sembravano superati e che avrebbero meritato un approccio diverso rispetto ai provvedimenti poi messi in campo dal Governo. Mi riferisco nello specifico al cosiddetto D.Lgs. Madia che prevede la privatizzazione del sistema di distribuzione dell’acqua che riporta in auge il tema della mercatizzazione dei servizi pubblici di interesse economico. Dopo due anni di Governo Renzi, si registra il debito pubblico in crescita, la riduzione della spesa sanitaria, la riduzione delle risorse pubbliche per investimenti in ricerca università e scuola, l’aumento delle spese militari con l’acquisto degli F 35, lo sgonfiamento della bolla occupazionale, la precarizzazione del lavoro e la moderazione salariale che producono contrazione della domanda interna per beni e consumi. Se a questi indicatori negativi si aggiungono i temi proposti dai referendum il quadro, al di là delle chiacchiere propagandistiche e dell’#italianistatesereni (che ricorda molto l’#enricostaisereno), è a dir poco fosco, ma potrebbe segnare una positiva svolta in un quadro politico ripiegato sul trasformismo. I temi dei Referendum e i pessimi dati macroeconomici sono strettamente legati tra di loro. Le materie che si apprestano ad essere oggetto di referendum hanno snaturato il significato democratico e sociale della Costituzione; esse sono alla base delle politiche economiche del Governo e degli effetti deleteri che hanno prodotto sul sistema. Lo “Sblocca Italia”, il “Decreto Sviluppo”, il Jobs Act, la “Buona scuola” fino alla proposta contenuta nel D.Lgs. Madia sulla privatizzazione dei beni pubblici di interesse economico non sono solo il tentativo maldestro di modificare con leggi ordinarie il testo della Costituzione, ma anche precisi indirizzi di politica economica in senso liberista ed oligarchico. I Referendum sono diventati terreno di incontro per pezzi di Società che in occasione delle elezioni votano per forze politiche alternative tra di loro o che addirittura si astengono. La nuova stagione referendaria, al di là dei risultati che ci saranno, crea i presupposti per un nuovo modo di fare politica. Non è più la politica di una classe dirigente divenuta ceto politico, ma è la politica che nasce dal basso tra i cittadini, all’insegna del connubio tra concretezza dei temi ed astrazione dei valori sui quali un sistema sociale giusto ed equo dovrebbe reggersi. Dal momento in cui il senso politico del voto viene snaturato con artifizi tecnici, quali sono appunto le modifiche al sistema elettorale, o accordi trasformisti come sono la prevalenza dei Governi dell’UE che vedono l’accordo tra forze di ispirazione Socialista e Liberale, è del tutto evidente che il cittadino che si astiene alle elezioni trova nel Referendum – almeno in Italia – lo strumento attraverso il quale incidere sulle scelte politiche facendo venir fuori il patto scellerato che esiste tra ceto politico e oligarchia tecno-finanziaria. In Italia lo strumento per riappropriarsi della politica è il referendum, in altri Paesi UE è la partecipazione politica attraverso il sostegno a forze e movimenti politici dichiaratamente antisistema. In Italia non siamo ancora a questo punto. Almeno per il momento. Tornando in Italia e stando ai sondaggi, che vanno presi sicuramente con le molle, circa il 70% degli italiani intenzionati a votare non é per Renzi. Se a questi elettori si aggiungono gli astenuti, che sono quasi il 50% del corpo elettorale, si può concludere che il Governo Renzi ha un sostegno che non va oltre un quarto del corpo elettorale. Detto ciò se la stagione referendaria su temi concreti e valoriali riesce a far convergere una parte consistente di elettorato si aprirà una stagione nuova per la politica italiana. Non è un caso che Renzi invita all’astensione proprio perché è sull’astensione, e non sulla partecipazione, che si regge il suo Governo.

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