Si fa presto a dire… smart working.

di Antonella Fancello. Le organizzazioni per le quali lavoro mi consentono, grazie ad un rapporto prevalentemente basato sulla fiducia, di svolgere le mie attività ovunque io mi trovi, perché ciò che conta è la qualità degli obiettivi che devo raggiungere e non gli orari o le giornate che impiego per raggiungerli. Grazie a un buon cloud configurato sui miei dispositivi mobili e una serie di altre applicazioni comuni posso non dover necessariamente raggiungere l’ufficio per partecipare a riunioni, condividere aree di lavoro, formare e formarmi… e questa è la mia dimensione da smart worker che adoro.
Ma in realtà, il cosiddetto “lavoro agile” è molto di più e a definirlo è anche la normativa italiana appena entrata in vigore! Finalmente, anche nel nostro paese si parla di “smart workers” e, udite udite, di diritto alla disconnessione (vi ricordate quando ci pareva impossibile nel nostro paese e ne parlammo a proposito della Francia?). Ma chi sono gli smart workers? Sono una nuova categoria di lavoratori? Niente affatto, esistevamo già occorreva solo parlarne! Forse non è ancora stata compresa appieno la finalità del legislatore che non ha inteso creare una nuova tipologia contrattuale ma ha semplicemente cominciato a qualificare e chiamare per nome una modalità di lavoro già diffusa nelle organizzazioni private e presto, ci si augura, anche in quelle pubbliche. Per evitare confusioni diciamo subito che lo smart working non è una evoluzione del telelavoro, comparso a fine anni 90 anche in Italia e che ha avuto scarsissimo successo avendo in realtà più difetti che pregi. Come da normativa approvata in Senato il 10 maggio scorso, che prevede, tra le altre cose, anche il “diritto alla disconessione” (cioè la possibilità per il lavoratore di non dover essere sempre connesso “alle strumentazioni tecnologiche di lavoro”), lo smart working è “una particolare modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, basata sulla flessibilità di orari e di sede e caratterizzata, principalmente, da una maggiore utilizzazione degli strumenti informatici e telematici, nonché dall’assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti anche al di fuori dei locali aziendali” [Altalex]. Chiaro, più si lavora anche da casa, meno le città sono trafficate. L’ha capito anche il comune di Milano che da anni dedica una giornata allo smart working e siccome 24 ore non bastavano più si è passati alla “settimana del lavoro agile” e così quest’anno, a Milano, fino al 26 maggio, è in corso un’intera settimana (lavorativa) dedicata, allo smart working: l’idea è quella di poter mostrare come si possa lavorare anche senza stare inchiodati in ufficio, garantendo però lo stesso (o un migliore) livello produttivo. Le esigenze dei lavoratori e delle aziende sono cambiate molto rispetto a una volta e la tecnologia è venuta in supporto per risolvere alcuni nodi organizzativi: ora comunicare e cooperare da remoto non è più cosa difficile e anzi può risolvere questioni di costi per affitti di uffici troppo grandi e garantire al dipendente una migliore gestione del famoso “work-life balance”, vale a dire il giusto bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa. Ma operare in smart working non corrisponde ad un mero svolgimento di attività da remoto, né è solo lavorare per una giornata da casa o dallo spazio in co-working, è molto altro ancora e rappresenta più di tutto un cambiamento culturale all’interno dei processi aziendali, non solo privati. “Lo Smart Working è un nuovo approccio al nostro modo di lavorare e collaborare all’interno di un’organizzazione in cui alla base ci sono tre elementi chiave: la revisione del rapporto tra manager e dipendente (si passa dal controllo a una maggior fiducia); il ricorso a tecnologie collaborative in sostituzione ai sistemi di comunicazione rigidi; la riorganizzazione degli spazi di lavoro che vanno oltre le 4 mura di un ufficio. Questo nuovo approccio pone al centro dell’organizzazione la persona, facendo convergere gli obiettivi personali e professionali con quelli aziendali, in un unico modus operandi che garantisce una maggiore produttività aziendale” [Andrea Solimene]. La nuova frontiera dello smart working è anche il pubblico impiego. La ministra Marianna Madia ha annunciato che entro il 25 giugno sarà emanata la direttiva che darà attuazione a un impegno preso nella riforma della pubblica amministrazione: dare la possibilità al 10% dei dipendenti pubblici di lavorare smart. Intanto il dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei ministri ha pubblicato un bando per la selezione di 15 amministrazioni che saranno sostenute nella realizzazione di un progetto di smartwork (l’Inps aderirà). Non finisce qui. Sono in partenza progetti di smartwork sia per i dipendenti di palazzo Chigi che per quelli del ministero dell’Economia. Nella PA, per tanti che iniziano c’è chi lo pratica già da anni. È il caso del Comune di Torino dove il lavoro agile è stato già avviato dall’amministrazione comunale precedente e mantenuta da quella in carica. Cesare Rosa Clot, ad esempio, lavora all’ufficio pratiche edilizie e spesso «riceve» i cittadini via Skype. In Italia sono già molte le imprese che adottano lo smart working. 250mila i lavoratori “agili”, secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. Alla Vodafone 3.500 dipendenti possono scegliere di lavorare da remoto un giorno alla settimana. Ferrero ha annunciato ad aprile il progetto “smart working” per 100 dipendenti dello stabilimento di Alba. Dopo un progetto pilota su 500 dipendenti, Enel ha deciso di estendere lo smart working a 7000 lavoratori. Barilla ha raddoppiato i giorni a disposizione in modalità smart working (da 4 a 8 al mese), con l’obiettivo di offrire a tutti gli impiegati d’ufficio la possibilità di lavorare da casa entro il 2020. Proprio perché ho il privilegio di operare all’interno di realtà organizzative nelle quali è la fiducia nel mio lavoro a prevalere sulle giornate trascorse all’interno dei locali delle organizzazioni che rappresento, ed è grazie alla tecnologia che raggiungo con successo quegli obiettivi assegnati, mi piace raccontarmi già come una smart worker e poiché tutto ciò, parlo ovviamente per esperienza personale, è molto gratificante come qualunque rapporto umano che si basi sulla fiducia, non può che piacermi molto il fatto che il nostro paese abbia deciso di regolamentare qualcosa che in realtà è arrivato già prima delle regole.

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