Rampini, giornalista di Repubblica, critica la sinistra radical chic.

di Attilio Runello. Federico Rampini è da anni corrispondente di Repubblica negli Stati Uniti ed è molto ascoltato negli ambienti della sinistra italiana. Tuttavia è sempre stato molto critico nei confronti della sinistra radical chic che ha abbandonato le cause della classe popolare. Riportiamo alcuni stralci di una lunga intervista rilasciata a “il Giornale”.

“Dal ‘fracasso vacuo’ sugli inginocchiamenti vari ed eventuali di questi giorni alle ambizioni di una sinistra, quella italiana, che cerca visibilità e consenso sposando le battaglie ideologiche delle celebrity. Fino al rischio, con l’avvento di Draghi, di creare il solito mito di un’Italia ‘modello ammirato nel mondo’. Un punto di vista, il suo, che, rifiutando di conformarsi al politicamente corretto ormai dilagante ne smaschera le ipocrisie di fondo.” Questa è la sintesi del suo pensiero che ne fa Martina Piumatti, che lo ha intervistato.
Domanda: “Nato come movimento che difende i diritti degli afroamericani, cos’è davvero Black Lives Matter negli Usa?”
Risposta: “Ha origini nobili. Il razzismo nella polizia americana è una piaga reale. Abbiamo tutti visto l’orribile morte inflitta dall’agente bianco Derek Chauvin a George Floyd, una tortura per la quale il poliziotto pagherà giustamente con 22 anni di carcere. E non è l’unico caso. Ma Black Lives Matter è diventato un movimento ultra-radicale che interpreta tutta la storia americana sotto l’unica lente del razzismo. Si è alleato con le forze del politically correct che comandano nelle università, nei media, nell’editoria”.
Domanda: “Boldrini, Letta e altri hanno chiesto agli azzurri di inginocchiarsi in modo unanime. Ma questa non è un’ingerenza che limita la libertà, esponendo alla gogna mediatica chi non si inginocchia?”
Risposta: “I politici che inseguono la visibilità sui media fraintendono il ruolo delle celebrity. Cristiano Ronaldo avrà mille volte più seguaci su Twitter del sottoscritto, ma questo non ne fa un maestro di valori. Enrico Berlinguer non affidava ai calciatori la costruzione di un consenso tra le masse, e arrivò al 35%”.

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