Produrre vaccini anti-Covid in Italia? Dovevamo pensarci prima, adesso ci vorrebbe troppo tempo!

di Redazione. La pandemia è un tragico evento che ha interessato il mondo intero, seminando morte e paura. Di fronte ad una tale tragedia le grandi potenze mondiali avrebbero dovuto, una volta messo a punto il vaccino, permettere ad ogni Stato in grado di farlo, di poterlo produrre autonomamente per vaccinare nel più breve tempo possibile la propria popolazione e allo stesso tempo produrne e inviarne dosi sufficienti a vaccinare anche le popolazioni degli Stati più poveri.

Perchè il Coronavirus è un’emergenza mondiale e pensare di poterla risolvere ognuno nel ‘proprio orticello’ vaccinando solo i propri connazionale, è quanto di più ingannevole si possa immaginare. Mai come in questa triste e grave emergenza sanitaria è indispensabile vaccinare al più presto l’intera popolazione mondiale, per potersi salvare tutti quanti insieme!

Invece, chi ha il vaccino se lo tiene ben stretto pensando così di ‘ripartire’ prima degli altri e di rimettere in moto la propria economia superando gli altri paesi! Ma intanto il virus cammina, si propaga e soprattutto ‘muta’, diventando sempre più forte e resistente anche agli attuali vaccini che rischiano, se non si procede tempestivamente con la vaccinazione, di essere inefficaci al punto che anche i ‘vaccinati’ correrebbero il rischio di essere nuovamente infettati dalle varianti del Covid!

Di produrre i vaccini contro il Covid-19 in Italia se ne parla da mesi. Ora l’ipotesi approda sul tavolo del Mise dove giovedì p.v. ci sarà un incontro tra il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi. Anche se, da quanto si apprende da tecnici e scienziati, ormai siamo in netto ritardo.

Comunque, spiegare la complessità dell’iter di produzione sarà uno dei passaggi chiave previsto dal presidente di Farmindustria: “Faremo il punto della situazione sulle possibilità di dare una mano”, ha detto Scaccabarozzi, “diremo al ministro come si produce un vaccino e quali sono i tempi. La produzione di un vaccino non è come realizzare altri farmaci: un vaccino è un prodotto vivo, non di sintesi, va trattato in maniera particolare. Il vaccino deve avere una bioreazione dentro una macchina che si chiama bioreattore. Insomma, non è che si schiaccia un bottone ed esce la fiala. Da quando si inizia una produzione passano 4-6 mesi”.

Ma a parte i bioreattori che in Italia scarseggiano e il lunghissimo iter per l’approvazione prima dell’Ema e poi dell’Aifa, i tempi resterebbero troppo lunghi come pure trasferire in Italia la tecnologia già sviluppata da parte di Pfizer o Astrazeneca richiederebbe dai 7-8 mesi ad un anno.

Mentre partendo da zero con gli impianti, per arrivare alla produzione si impiegherebbero 2 anni. Insomma, i tempi sarebbero comunque troppo lunghi. Tempi che non possiamo permetterci! 

Quindi per questa emergenza non resta che rivolgersi a chi già è in grado di produrre il vaccino. Ciò non esime l’Italia ad attrezzarsi per il futuro rendendosi autonoma per fronteggiare altre pandemie che gli esperti non escludono potrebbero tornare a colpire il nostro pianeta nell’era della globalizzazione dove a circolare liberamente non non solo merci, persone e denari, ma pure virus e malattie!

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3 Responses

  1. LoZio ha detto:

    sempre ultimi in tutto. E comunque vale il detto: Prevenire è meglio che curare! Quindi che si diano una mossa per no farsi ritrovare con una mano davanti e l’altra dietro quando si ripresenterà un altro virus, perchè si ripresenterà…. come assicura il Prof Galli!

  2. Michele-LI ha detto:

    Bravo bravo Parsifal-NA: vadano a casa! ELEZIONI

  3. Parsifal-NA ha detto:

    Il Governo, infatti, a fronte delle informazioni di cui disponeva, ha tardato di circa 50 giorni ad avvalersi del Piano Nazionale per la Prevenzione (2014-2018) e soprattutto di attivare il Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale, pubblicato nel 2007 e aggiornato nel 2016″.
    In un documento scritto da Giulietto Chiesa prima della sua morte, avvenuta il 26 aprile scorso, il giornalista e politico ricostruisce le vicende legate al coronavirus ritenendo che vi siano state responsabilità di Governo, europee e mondiali.
    Si sofferma poi sullo scenario attuale: cosa è opportuno
    fare perché l’Italia risorga. Un documento (dal titolo: ‘La grande crisi del Covid-19. Per l’Italia che deve risorgere. Cosa è accaduto?
    Che fare?) che sarà approfondito dal ‘Centro di Gravità’, l’ultimo progetto del giornalista, che riunisce scienziati, ricercatori e giornalisti, con l’intento di affrontare i gravi problemi che affliggono l’umanità.
    “Contrariamente a quanto previsto dal piano, il Governo”, scrive Chiesa, “non ha provveduto a identificare, confermare e descrivere rapidamente casi di influenza causati da nuovi sottotipi virali.
    Questo non è avvenuto nonostante che a Dicembre e Gennaio siano stati registrati focolai di polmonite atipica virale in numerose aree della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia Romagna. Uno studio successivo dell’Università di Milano collocherà tra Ottobre e Novembre l’esordio dell’epidemia in Italia”.

    “Al ritardo nell’implementazione del Piano Nazionale di Prevenzione – aggiunge Chiesa – si sommano l’enorme incertezza sui dati epidemiologici, l’inattendibilità diagnostiche, l’impreparazione e la carenza dei mezzi tecnici.
    Quattro ordini d’incertezza hanno compromesso l’analisi, le scelte del Governo e la narrativa dei media:
    a) I dati provenienti dalla Cina, numero dei decessi e degli infetti,
    non hanno permesso valutazioni realistiche. b) L’assenza di un
    programma di screening a campionamento casuale; la precisa
    identificazione iniziale delle aree colpite; la valutazione del numero
    di persone contagiate hanno sottostimato l’estensione iniziale
    dell’infezione.
    c) L’assenza quasi totale di autopsie ha impedito di
    capire i meccanismi patogenetici che hanno provocato la morte; si sono conteggiati assieme i morti di covid-19 e i morti con covid-19, rendendo impossibile il calcolo della reale mortalità del virus.
    d) L’uso dei tamponi è stato un mostruoso pasticcio nazionale. E’ stata taciuta, o mantenuta nell’ombra, la circostanza che il tampone presenta un’elevata percentuale di risultati inattendibili, sono stati esposti al pubblico dalle fonti ufficiali dati che sono inattendibili.
    Infine non si è colpevolmente data priorità all’analisi sierologica”.

    “Inoltre – continua il giornalista – una mescolanza di
    notizie ufficiali, ufficiose, casuali, per lo più distribuite da programmi d’intrattenimento e talk-show vari, popolati da esperti, mescolati con pareri casuali di inesperti, personaggi del mondo dello spettacolo. Una tale comunicazione, invece di produrre un effetto di responsabile allarme ha prodotto allarmismo e inquietudine diffusi.
    Così, l’abitudine di comunicare puntualmente ogni giorno il
    ‘bollettino di guerra’ – in deroga a quanto stabilito dal piano di
    emergenza nazionale – ha suscitato preoccupazione e ansia ben oltre l’auspicabile”. I media, a suo parere, “hanno contribuito irresponsabilmente alla confusione”, tentando di imporre “le versioni di comodo fornite da portavoce spesso inquinati da conflitti d’interesse”.
    Passando alle responsabilità della Cina, Giulietto Chiesa ricostruisceche “il 20 gennaio la Cina dichiara l’aumento del 60% dei contagi in due giorni. Il 30 gennaio l’Oms dichiara il Coronavirus ‘Emergenza Sanitaria Globale’. Il giorno successivo, il 31 gennaio, il Consiglio dei Ministri italiano decreta lo stato di emergenza, per sei mesi.
    Ma passeranno altri quindici giorni prima che una delegazione dell’Oms si rechi in Cina (il 16 febbraio) per condurre una indagine estensiva.
    Ma il rapporto della missione evidenzia che casi sporadici di polmoniti anomale, sospette come riconducibili a influenze del tipo Sars, erano già stati segnalati fin dall’ottobre precedente”.

    “Responsabilità gravi – accusa l’ex dirigente del Pci – ricadono anche sull’Europa il cui comportamento può essere definito contumace.
    Nessuna riunione è stata indetta per affrontare l’emergenza Covid-19.
    Eppure il compito della Commissione Europea prevede che essa debba ‘affrontare le minacce emergenti di carattere globale’.
    Il Presidente del Consiglio Europeo delle Ricerche, l’italiano Mauro Ferrari, ha rassegnato le dimissioni dall’incarico, sottolineando di essere rimasto deluso dal sistema Europa per l’assenza di coordinamento sanitario tra gli Stati, l’opposizione a programmi di solidarietà nei riguardi dei paesi più colpiti, le politiche unilaterali riguardo alle frontiere e la mancanza di programmi scientifici sinergici e a largo raggio”.

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