PRIMO MAGGIO 2017.

Puntuale come un orologio svizzero anche quest’anno arriva il ‘Primo Maggio’, la festa del lavoro e dei lavoratori. Una festa laica che rischia di diventare sempre più ‘concertone’ e meno evento sociale, politico e sindacale. Insomma, un ‘Primo Maggio’ che sta al mondo del lavoro un pò come il Natale sta al panettone:
feste laiche e religiose che anno dopo anno si stanno svuotando dei loro veri valori, che stanno perdendo il loro significato autentico, per trasformarsi in convention enogastronomiche e kermesse televisive. Il lavoro è stato svalutato dalla globalizzazione e asservito al profitto e al benessere di quei pochi potenti e straricchi del pianeta, che continuano ad ingrassare sulle spalle dei lavoratori, con il benestare di una politica del lavoro e del welfare che sta livellando verso il basso i salari e le pensioni per portarle sullo stesso piano del reddito minimo garantito, o reddito di cittadinanza che dir si voglia, e delle pensioni sociali. Un lavoro orfano dell’Articolo 18 e sempre più sottopagato, meno tutelato e garantito, nel nome di quella flessibilità che conviene solo ai padroni che pagano stipendi da fame e assumono e licenziano a seconda del flusso di cassa. In questo scenario, l’Italia si posiziona a fanalino di coda sia per l’elevato tasso di disoccupazione giovanile che per gli stipendi più bassi della Ue. E in un mondo dove la forbice tra ricchi e poveri diventa sempre più larga e dove il ceto medio è stato confinato sulla soglia della povertà, esistono due Italie, un Nord e un Sud sempre più distanti tra loro, con il Settentrione che assurge ad Eldorado dei lavoratori italiani: con 1.476 euro mensili, infatti, Bolzano è la provincia che, oltre ad avere il tasso di disoccupazione più basso, detiene il primato delle buste paga più ‘pesanti’ fra i lavoratori dipendenti. A seguire, numerosi altri centri del Nord, ossia Varese (1.471 euro), Monza e Brianza (1.456), Como (1.449), Verbano Cusio Ossola (1.434), Bologna (1.424) e Lodi (1.423). Magrissima, invece, la retribuzione media degli occupati di Ascoli Piceno, che con 925 euro è fanalino di coda. Lo rileva l’Osservatorio Statistico dei consulenti del lavoro in un report presentato in questi giorni a Napoli, nell’ultima giornata del congresso nazionale della categoria. Stando al dossier, il dominio settentrionale sulle retribuzioni si espande fino al 55° posto della classifica delle province con gli stipendi medi più elevati della Penisola, poiché la prima provincia del Mezzogiorno dove si guadagna di più è L’Aquila con 1.282 euro. E Bolzano è la ‘regina’ delle province italiane anche per numero di occupati: il tasso di persone al lavoro è, infatti, del 72,7%. In fondo alla classifica, invece, c’è Reggio Calabria dove risultano impiegati soltanto 37,1 soggetti su 100. Roma risulta al 57° posto. Il lavoro è ‘rosa’ nella città ‘dotta’, mentre alle pendici del Vesuvio le donne (ancora) arrancano: il tasso d’occupazione femminile più alto d’Italia si registra nella provincia di Bologna dove due terzi delle donne svolgono un’attività (66,5%). Al contrario, nel Mezzogiorno per il ‘sesso debole’ la percentuale delle impiegate si assottiglia drasticamente: il tasso più basso si rileva a Barletta-Andria-Trani dove lavora meno di un quarto della componente femminile(24,1%), così come circa il 25% è in servizio a Napoli (25,5%), Foggia (25,6%) ed Agrigento (25,9%). Bene anche in altre province del Centro-Nord: fra queste Bolzano (66,4% di occupate), Arezzo (64,4%) e Forlì-Cesena (63,3%).

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