Olivetti simbolo del rinascimento industriale italiano.

di Giovanni Pulvino. Lunedì e martedì scorsi è andata in onda su Raiuno la fiction sulla vita di Adriano Olivetti. Per i più giovani questa è stata un’occasione per conoscere il simbolo del rinascimento industriale italiano, un uomo che è stato, durante il boom economico degli anni cinquanta, un precursore tra gli imprenditori del nostro Paese. Figlio di Camillo fondatore dell’Olivetti & C. è stato oltre che industriale, ingegnere, urbanista, filosofo e politico. Entrato nella fabbrica del padre nel 1926 con la qualifica di operaio ne diviene direttore nel 1932. Fu antifascista ed insieme a Carlo Rosselli ed a Sandro Pertini contribuì alla liberazione di Filippo Turati. Rientrato in Italia dopo gli anni dell’esilio in Svizzera, riprese la sua attività d’imprenditore. Con la sua direzione l’azienda di Ivrea è diventata in pochi anni la più importante fabbrica di prodotti per ufficio del Paese. La particolarità e nello stesso tempo la grandezza di Adriano Olivetti è stata quella di aver saputo coniugare, attraverso una organizzazione del lavoro che contemplava l’efficienza organizzativa e la partecipazione attiva dei suoi dipendenti, il perseguimento del profitto aziendale con la solidarietà sociale. Il modello produttivo che l’imprenditore piemontese realizzò nello stabilimento che nel 1953 aprì a Pozzuoli è emblematico di questa visione. Salari al di sopra della media nazionale, assistenza sanitaria alle famiglie degli operai ed una comunità capace di creare le condizione per rendere quella fabbrica tra le più produttive al mondo. Nei pressi dei luoghi di lavoro vi erano le abitazioni per i dipendenti ed asili per i loro figli. L’ambiente interno era a misura d’uomo, non c’erano divisioni tra dirigenti ed operai, essi potevano disporre di biblioteche, ascoltare musica, seguire dibattiti. Inoltre l’azienda accoglieva artisti, scrittori e poeti con lo scopo di arricchire l’attività produttiva con la creatività. “La cultura è libertà e la bellezza è importante” sostenne in più occasioni l’imprenditore piemontese. Socialista e liberale cercò di realizzare i suoi ideali politici fondando nel 1948 il “Movimento Comunità”. Eletto in Parlamento nel 1958, votò la fiducia al governo di Amintore Fanfani. Morì nel 1960 a soli cinquantanove anni lasciando un impero industriale con circa 36000 dipendenti. Fu un industriale che svolse con intelligenza e con serietà il suo lavoro. L’esatto contrario di quanto avviene oggi con i manager cosiddetti “rampanti” che prediligono l’aspetto finanziario a quello produttivo e che considerano la fabbrica ed i dipendenti numeri da gestire in funzione di fusioni, trasformazioni o dismissioni aziendali. Il loro unico obiettivo è quello di garantire lauti dividendi ai soci mentre le rivendicazioni sindacali ed i diritti dei lavoratori sono solo noiosi ed inutili intralci. Ogni mezzo è lecito per favorire l’arricchimento di pochi. L’imprenditore di Ivrea era un gigante nel suo campo e la sua non era un’utopia irrealizzata ma un modello industriale di successo. Dimostrò che un capitalismo solidale era possibile ed anche oggi lo è basta volerlo. Per realizzarlo è sufficiente essere partecipi ai bisogni di chi ci sta intorno, di chi lavora con noi, qualunque sia il compito che egli svolge. In una fase di grave crisi economica come quella che stiamo vivendo una maggiore solidarietà verso chi non arriva alla fine del mese non è solo da auspicare ma rappresenta un dovere morale per chi ha a cuore il benessere del Paese. Da questo punto di vista Adriano Olivetti è stato un esempio da imitare. Oggi purtroppo è un’altra epoca fatta di nani e ballerine, d’imprenditori che non sono in grado di perseguire quel modello produttivo. Ed essi non ci riescono perché non sanno immaginare e concepire un tenore di vita senza le loro lucrose rendite finanziarie e le loro piccole e superflue esigenze quotidiane.

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