di Pier Giorgio Tomatis. “Non si uccidono così anche i cavalli?”, è un film del 1969, diretto da Sydney Pollack e tratto dall’omonimo romanzo del 1935 di Horace McCoy che vide l’interpretazione di Jane Fonda e Michael Sarrazin e 9 nomination per la serata degli Oscar. Ambientato negli anni ’30, si racconta l’epopea dei due protagonisti che (per soldi, vitto e alloggio, il periodo storico è quello della Grande Depressione) partecipano ad una delle tante maratone di ballo così in voga all’epoca. Il titolo, altamente evocativo, pone l’attenzione sull’atteggiamento crudele e spietato degli organizzatori di queste manifestazioni (ma anche dell’esigente pubblico che le seguiva morbosamente) e facendo un analogia con i cavalli che per un eccessivo utilizzo si azzoppano. Ecco, forse sbaglierò ma io penso che (oggi più di ieri) il mondo così come lo conosciamo si sia diviso pericolosamente in 3 tipologie di attori nella grande maratona di ballo che è la vita. Ci sono i ballerini (i lavoratori) che continuano a danzare fino al momento fatidico in cui i muscoli e le ossa cederanno per il troppo sforzo. Ci sono gli organizzatori ovvero coloro che vivono sulla pelle degli attori di questo grande spettacolo (i super ricchi ma anche il Fisco e le politiche degli Stati) per i quali, qualunque cosa succeda, the show must go on. Poi, c’è il pubblico (i consumatori) che potrebbe interrompere in qualsiasi momento questa cinica esibizione di disumanità che non ha più nulla di divertente ma la bava alla bocca dell’anomalia patologica. Non lo fa, però. La conclusione di questa storia non può che essere una sola. Il cavallo zoppo va ucciso per il suo stesso bene, per non fargli sentire più dolore. A meno che…
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