di Roberto Colombo. Se il mandato presidenziale del democristiano Antonio Segni è stato il più breve della storia repubblicana, essendo durato appena due anni dal 1962 al 1964, quello di Giorgio Napolitano è stato il più lungo: dal 2006 al 2015. Cosa abbia fatto di meritevole per essere riconfermato (nel 2013) sfugge anche perchè il mistero non è mai stato svelato; del resto, di ombre è piena la sua storia.
VISTO DA DESTRA
I leghisti ne avranno imperitura memoria perchè, quando era ministro dell’interno, fu perquisita la casa madre della Lega Nord in via Bellerio a Milano, presenti sul posto i principali leader politici leghisti del tempo. Ma, sempre in casa Lega, ne hanno un pessimo ricordo pure perchè all’ex Re Giorgio è attribuibile la prima norma colabrodo sull’immigrazione: la cosiddetta Legge Turco-Napolitano che era, in sostanza, un lasciapassare universale. Pure a destra non dovrebbero esserne entusiasti, poichè è sempre stato dall’altra parte della barricata, militante e dirigente storico dell’ex Partito Comunista Italiano.
UNA VITA NEL PCI
Napolitano entrò presto, a soli 31 anni, nel comitato centrale del Pci nel corso dell’VIII congresso di partito, in un’assise vinta dal leader storico Palmiro Togliatti;
sei anni dopo, nel 1962, entrerà nella direzione con Nilde Jotti, Ugo Pecchioli e soprattutto Enrico Berlinguer; fu poi braccio destro di Luigi Longo, nome forse meno ricordato ma che fu guida del Pci nella seconda metà degli anni ’60, fautore di una linea politica ispirata alla riunificazione delle forze socialiste in un unico partito dei lavoratori, alleato di uno schieramento unitario delle forze democratiche e popolari: praticamente, un Ulivo ante litteram.
SENZA DARE NELL’OCCHIO
Sapeva muoversi bene, il Giorgio nazionale, e a inizio degli anni ’80 guidava il gruppo Pci alla Camera e da qui si prese, seppur non direttamente, il quotidiano di
partito, L’Unità: non deve sfuggire che in quegli anni gli organi di partito, oltre a essere letti, influenzavano parecchio la vita politica interna. Andò che nel febbraio
1982 il quotidiano fondato da Gramsci sostenne che il ministro Scotti avesse trattato con Raffaele Cutolo, capo della camorra, per la liberazione dell’assessore regionale Dc della Campania Ciro Cirillo; Scotti smentì e le fonti dell’Unità si rivelarono false. Fu Napolitano, alla Camera, a porgere formali scuse a Scotti ma pochi giorni dopo il ministro Rognoni ammise il pagamento del riscatto, versato al leader delle Brigate Rosse Senzani e furono rivelati contatti tenuti proprio da esponenti democristiani con Cutolo nel carcere di Ascoli Piceno; nel frattempo però il direttore dell’Unità Claudio Petruccioli si era rimesso e al suo posto arrivò un amico storico di Re Giorgio: Emanuele Macaluso.
Una persona che NON HA ATTUATO la Costituzione, ha trasformato la Repubblica in una MONARCHIA!!!
Giorgio Napolitano è morto e Matteo Messina Denaro è in fin di vita. Forse Dio vuole ascoltare entrambe le versioni.