Nadef, in direzione ostinata e pro-ciclica.

di Mario Seminerio. Ieri si è svolta l’audizione parlamentare della Banca d’Italia relativa all’esame della Nadef 2023. La testimonianza, davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, è stata resa da Sergio Nicoletti Altimari, Capo Dipartimento Economia e Statistica della nostra banca centrale. Da essa emerge che il governo Meloni ha scelto di percorrere un sentiero molto stretto con conseguenti elevati rischi. Quali sono i punti rilevanti dell’audizione?

Lo scenario di base è quello di attenuazione della crescita, sotto il peso di molteplici e noti fattori, tra cui la crisi economica cinese, la persistenza della stretta monetaria e il quadro geopolitico globale, dove alla guerra in Ucraina si somma quello che sta accadendo in Israele dopo le atrocità compiute dai terroristi di Hamas. La fragilità dei mercati dell’energia torna così tragicamente in primo piano, con lo strappo rialzista del prezzo del gas sulla piazza olandese e il rischio di un allargamento del conflitto mediorientale, che potrebbe giungere a tagliare le esportazioni iraniane (peraltro beneficiando la Russia).

ESPANSIONE FISCALE.

La Banca d’Italia giudica “plausibili” le stime di crescita contenute nel quadro programmatico del governo, pur in attesa dei dettagli operativi. C’è tuttavia una considerazione piuttosto interessante, nell’audizione:

Nelle valutazioni della NADEF l’output gap nel 2024 è positivo, tuttavia il Governo ritiene di dover ricorrere a una manovra espansiva. Nella Nota (e nella Richiesta di autorizzazione al Parlamento per il ricorso a maggiore indebitamento) il Governo motiva tale decisione con la necessità di sostenere i redditi medio-bassi e, più in generale, i consumi e l’attività economica.

Quindi, a fronte di una crescita che eccede il pieno impiego dei fattori produttivi (output gap considerato positivo), il governo decide una ulteriore espansione fiscale. In sintesi, si tratta di una manovra pro-ciclica, che rischia di surriscaldare l’economia. Ora, sappiamo che il calcolo dell’output gap è uno dei tanti arcana mundi della scienza economica, e tuttavia non possiamo esimerci dal considerare che, quando si opera avendo come riferimento alcune metodologie, serve coerenza.

Segue abituale predica inutile:

Come già sottolineato in questa sede in occasione dell’audizione sul DEF, a fronte di nuovi oneri di natura permanente (come quelli connessi con la riduzione del numero di aliquote dell’Irpef) o di difficile rimozione (come, presumibilmente, quelli risultanti dal taglio dei contributi sociali) è sempre opportuno individuare coperture certe, di entità adeguata e con natura altrettanto permanente. Ciò è particolarmente importante se si pianificano riduzioni del debito esigue in contesti di elevata incertezza macroeconomica.

DEBITO PUBBLICO A RISCHIO.

Il debito pubblico e il suo rapporto rispetto al Pil si trovano a percorrere un sentiero molto stretto, se si vuole evitare un aumento che, con alta probabilità, sarebbe pesantemente e rapidamente sanzionato dai mercati. Nel triennio di programmazione, il rapporto debito-Pil cala di solo lo 0,6% contro una previsione di 1,7% contenuta nel Def di primavera. Il motivo?

[…] gli effetti positivi del differenziale tra crescita e onere medio e del saldo primario (nel complesso del periodo 2024-26, pari rispettivamente a circa 1,5 e 2 punti) riuscirebbero solo a compensare quelli, negativi, di una significativa componente stock-flussi (oltre 3 punti).

La componente stock-flussi è quella che include le voci, non riconducibili ad avanzo primario o spesa per interessi, che causano variazioni di debito. Ad esempio, saldo del conto corrente di tesoreria, cioè depositi delle pubbliche amministrazioni presso la Banca d’Italia ma anche e soprattutto la trasformazione in fabbisogno dei bonus edilizi, cioè il momento in cui i medesimi vengono compensati e determinano l’esigenza di emettere debito pubblico. Nelle poste di stock-flussi ci sono anche le mitologiche privatizzazioni.

Quindi, secondo la Banca d’Italia, il forte aumento delle voci passive di stock-flusso, cioè i bonus edilizi compensati, bilancerebbero a malapena il lato virtuoso dell’equazione, cioè il differenziale tra crescita nominale e costo medio del debito e l’avanzo primario, che peraltro è previsto esiguo sino al 2026, anno che dovrebbe precedere le elezioni politiche. Come dire che qualcuno crede davvero che alla vigilia delle elezioni possa esserci in questo paese una specie di “austerità”.

Ma quali sono i rischi? Eccone uno, bello grande:

Alcune analisi di scenario presentate nella NADEF mostrano che, nel caso di un aumento del differenziale dei redimenti tra i titoli di Stato italiani e tedeschi di 100 punti base, l’incidenza del debito tornerebbe a crescere già nel 2024.

E sarebbero problemi veri e seri, soprattutto sui mercati. C’è una spada di Damocle sulla testa degli italiani, ed è il debito. Che non flette, causa incasso dei bonus edilizi. Ma il governo ha disegnato un quadro di ottimismo piuttosto forte, sulla crescita. E Banca d’Italia lo rimarca ulteriormente:

Per quanto riguarda la politica di bilancio, pianificare già per il triennio 2024-26 – in cui secondo le stime del Governo il PIL accelera e l’output gap è ampiamente positivo (intorno all’uno per cento in media) – una più significativa flessione del debito ridurrebbe il rischio di dover effettuare un’ampia correzione in concomitanza con eventuali shock macroeconomici.

IL RISCHIO DI STIME BASATE SU DATI RESI OBSOLETI.

Ribadiamo e traduciamo: perché, caro governo, ritieni che nel triennio avremo una crescita superiore alle nostre capacità (output gap positivo) e malgrado ciò non correggi i conti e anzi per il 2024 disegni una manovra espansiva e pro-ciclica? E addirittura tenti di darci a bere che nell’anno prima delle elezioni tornerà un robusto avanzo primario? Se il governo realizza una manovra pro-ciclica che tuttavia il suo ministro dell’Economia definisce “anti-ciclica” , significa che qualcuno non ha chiaro il concetto di anti-ciclico e pro-ciclico. E mi sentirei di escludere che questo qualcuno possa essere la Banca d’Italia.

Alla fine, partendo da pro-ciclici, rischiamo di restarlo in caso le cose andassero male e i mercati facessero alzare il rischio-Italia, cioè lo spread. In quel momento, durante una recessione, saremmo costretti ad attuare una stretta fiscale.

Oggi si è svolta l’audizione sulla Nadef della presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb), Lilia Cavallari. In sintesi, è stato validato il quadro programmatico per il 2024, con crescita di 1,2% che si pone in fascia alta dell’intervallo di previsioni del panel rappresentato da CER, Oxford Economics, Prometeia e Ref Ricerche, oltre all’UPB stesso. La previsione di crescita nominale del Pil 2024, a 4,1% appare invece piuttosto conservativa.

Quali i maggiori punti critici evidenziati da UPB?

  • La concentrazione della realizzazione delle opere del PNRR nei due anni finali del programma, oltre a non lasciare ulteriori margini di rinvio, potrebbe alimentare strozzature nell’offerta, sia con riferimento alle competenze necessarie per gestire e avviare le opere, sia per lo spiazzamento di altri investimenti.
  • La netta flessione dell’inflazione l’anno prossimo è un cardine su cui poggia l’intero quadro macroeconomico. Tale attesa è condivisibile ma è gravata da diversi rischi. Le variabili esogene sono costruite basandosi su prezzi dei mercati a termine delle materie prime, estremamente volatili. Inoltre, le nuove tensioni geo-politiche potrebbero spingere nuovamente le quotazioni di diverse materie prime, che rapidamente si trasmetterebbero ai prezzi al consumo.
  • Eventuali sfasamenti nei cicli di ripresa tra paesi e il possibile repentino aumento dell’avversione al rischio degli operatori di mercato rischiano di generare nuove tensioni finanziarie globali, con impatti rilevanti per un’economia aperta ad alto debito pubblico, come quella italiana.

Io rimango della mia sensazione: vista l’evoluzione del quadro internazionale, purtroppo non in meglio, temo che queste stime si riveleranno presto eccessivamente ottimistiche. Di conseguenza, crescerà il rischio di movimenti avversi e repentini di mercato. Anche per questo, sarebbe opportuno che il governo pensasse a un “piano B” o, detta meglio, a riscrivere questa Nadef. Potremmo scoprire presto che, contrariamente alle convinzioni di Giorgetti e del governo, non di prudenza si trattò.

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