L’età dell’innocenza perduta da Capaci a Manchester.

di Guido Ruotolo. Noi l’età della innocenza l’abbiamo persa da 25 anni. Da quel 23 maggio 1992 quando in un pomeriggio palermitano, mezza tonnellata di tritolo si portò via Giovanni Falcone, la moglie e la scorta. Poi vennero Paolo Borsellino e le stragi di Firenze, Roma, Milano. È vero, altre generazioni erano già diventate improvvisamente adulte con le stragi di Milano del 1969 fino a quella di Brescia e del 904 e Italicus. Il terrorismo, in fondo, è questo: violentare l’innocenza e rendere il futuro incerto. È casuale la coincidenza tra l’anniversario di Capaci e la strage di Manchester. Stanotte i terroristi volevano colpire nel mucchio e ci sono riusciti. Con la modalità classica del terrorismo jihadista, il kamikaze. Falcone e Borsellino erano gli obiettivi dichiarati dei Corleonesi. Ma poi anche loro, con le stragi del Continente pur volendo colpire dei simboli della Chiesa e della libera informazione, alla fine si ritrovarono (involontariamente) a colpire nel mucchio, a caso. In questa primavera insanguinata dell’Europa, che ha già subito attacchi ripetuti in Francia e Belgio, dopo la Spagna e l’Inghilterra di metà del decennio scorso, le città scoprono fino in fondo l’insicurezza. Un bar, un aeroporto, una stazione ferroviaria, un mercatino, un viale e ora un concerto pieno di innocenza e felicità. Obiettivi casuali e modalità diverse: il gruppo di fuoco, l’autista killer, il kamikaze che si fa esplodere. Diciamolo chiaramente: non siamo in grado di proteggerci perché questi attacchi sono prevedibili ma non prevedibili. Che dovremmo fare? Il coprifuoco permanente? Il presidio militare di tutte le città? È giusto imporre ai nostri ragazzi una vita da reclusi? Penso agli anni terribili del terrorismo mafioso. Si viveva in clandestinità, come ai tempi della resistenza. Vivevano in clandestinità o anche reclusi a casa e protetti dalle scorte, magistrati, testimoni, liberi cittadini che denunciavano la mafia. Allora c’era un «progetto» di liberazione collettiva dalla violenza mafiosa. E se ne fece carico lo Stato. Ma oggi, di fronte ai foreign fighters, ai terroristi fai-da-te, alle terze generazioni delle periferie delle metropoli europee, quale strategia vincente si può mettere in campo? Spetta all’Europa farsene carico. Intanto con scelte di politica estera e di inclusione sociale. Non è facile e la lotta alla mafia per noi è un esempio molto concreto. La malapianta è difficile da estirpare. Il rancore e l’odio di islamisti radicalizzati nei confronti dell’Occidente si alimenta sempre di più grazie alle diseguaglianze e alla povertà. Piangiamo i morti di Manchester come quelli di Capaci. Ma non riusciamo a vedere la luce dopo il buio.

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