In Italia l’unica cosa che non smette mai di crescere sono le tasse!

È sempre la stessa storia quella del “meno tasse per tutti”. Ma se ieri poteva funzionare, oggi non incanta più nessuno! Basta vedere la busta paga per rendersi conto di quanto lo Stato prelevi dallo stipendio dei lavoratori.
Basta guardare i dati Ocse e prendere come indicatore il cosiddetto “cuneo fiscale”, ovvero la differenza tra il lordo e il netto dello stipendio, per scoprire che negli ultimi anni questo fardello non è diminuito, come promesso dal governo, ma è invece cresciuto del 2,57%, arrivando nel 2015 al 48,96% del costo del lavoro.
Un dato in controtendenza rispetto alla media delle altre 34 economie occidentali analizzate, nelle quali il cuneo fiscale e contributivo è sceso dello 0,11% rispetto al 2007 e dello 0,72% rispetto al 2000.
I Paesi che hanno scelto di rendere il lavoro più conveniente sono economie vicine a quella italiana: la Germania (-2,36%), la Francia (-1,29%) e il Regno Unito (-3,29%). Insomma, al netto degli annunci e delle promesse e senza prendere in considerazione Iva, Imu, Tasi, imposte e balzelli su utenze e servizi, le tasse non sono diminuite.
Anzi, per le famiglie italiane il carico fiscale e previdenziale è sensibilmente aumentato. E non certo per colpa della solita crisi, tirata ogni volta in ballo a giustificazione e convenienza, ma soprattutto per effetto della mancata spending review, di politiche sane e virtuose, di una seria e concreta lotta all’evasione e alla corruzione.
In questi anni, proprio per fronteggiare al meglio la crisi economica, i nostri maggiori competitor internazionali hanno infatti scelto di imboccare la strada opposta, ovvero ridurre la pressione fiscale, proprio per non compromettere ulteriormente i consumi interni.
Renzi invece ha solo annunciato di “cambiare verso”, ma in realtà non ha mantenuto la promessa ed è passato all’incasso rincarando la dose. Insomma, anche questa del “premier senza voto” non è stata “la volta buona”. Bocciato Renzi, avanti il prossimo!

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