Pensioni e stipendi troppo bassi. Paese più povero e depresso, altro che crescita e ripresa!

di Gerardo Lisco. Ho letto la proposta di Nannicini sull’introduzione di flessibilità in uscita ai fini pensionistici. Il sistema mi convince poco. Mi sembra che miri più ad alimentare il mercato delle assicurazioni private integrative che a risolvere in modo concreto la questione. Il sistema pensioni attiene alla redistribuzione della ricchezza prodotta tra classi sociali e generazioni e alimentare il divario tra chi ha troppo e chi progressivamente si impoverisce sempre di più non favorisce la soluzione del problema. L’Italia ha un problema di posti di lavoro che non crescono. Le politiche economiche sin qui condotte hanno prodotto poco o nulla. Il vero nodo delle pensioni è infatti la mancanza di lavoro. Il Jobs act si è rivelato una bolla:
dalla bolla finanziaria alla bolla lavorativa. La proposta Nannicini opera una sorta di redistribuzione della ricchezza tra appartenenti alle stesse fasce sociali. Il genitore che va in pensione anticipatamente con penalizzazioni lascia il proprio lavoro al figlio che verrà assunto con retribuzioni più basse, con un contratto di lavoro con meno tutele e con sgravi contributivi, divisi equamente tra lui e il suo datore di lavoro, che in prospettiva gli garantiranno una pensione comunque misera. La prima ipotesi prevista da Nannicini, uscita anticipata su base volontaria, ha la funzione di creare le nonne e i nonni di servizio in previsione di un ulteriore abbattimento del welfare; la seconda ipotesi ha la funzione di aiutare quei lavoratori che vengono posti davanti l’alternativa perdere il lavoro e fare i disoccupati o andare in pensione seppure con una pensione ridotta; la terza è una sorta di ammortizzatore sociale, conserva l’apparenza di volontarietà ma di fatto potrebbe essere una scelta obbligata per evitare conseguenze peggiori dovute ai processi di riorganizzazione produttive legate alla finanziarizzazione dell’economia; mi riferisco a quelle situazioni sempre più comuni per le quali la riorganizzazione aziendale è legata più al miglioramento delle performace dei titoli in borsa che ai livelli qualitativi e quantitativi dei servizi o dei prodotti offerti. Il contesto sociale ed economico è tale per cui sia coloro che andranno, in un modo o nell’altro, in pensione che coloro che verranno assunti, godranno di pensioni e retribuzioni basse che produrranno l’ulteriore impoverimento del sistema sociale. Gli effetti di questo ulteriore impoverimento si tradurranno in contrazione della domanda interna, stagnazione economica, minore gettito fiscale per lo Stato. I maggiori costi di tutto questo saranno a carico proprio di quelle classi sociali oggetto di riduzione di salari e pensioni, che si vedranno costrette ad acquistare beni su mercati oligopolisti, non più riconosciuti come diritti: previdenza, salute, istruzione. Altro che crescita e ripresa. Il problema pensioni attiene politiche redistributive e di investimenti. Sono convinto che pur in presenza dei vincoli di bilancio imposti dal Patto di Stabilità sia possibile operare con politiche redistributive e di investimenti. Questi sono due compiti di stretta competenza statale. Il problema è che manca un governo capace di tutelare gli interessi dei cittadini e preferisce quelli degli azionisti e dei manager degli oligopoli finanziari, detti in modo diverso delle lobby. La proposta Nannicini che il governo farà sicuramente propria risponde completamente all’esigenza di una riorganizzazione del nostro sistema in funzione del mercato che produrrà la redistribuzione della ricchezza dalle fasce socialmente ed economicamente più deboli al ceto sociale più ricco. Un tale principio distributivo non solo mina la ripresa economica, ma con essa il sistema Democratico e il patto fondamentale sul quale si regge un sistema sociale e cioè quello tra generazioni.

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