Il ritorno di Fini (che scarica i Tulliani).

di Marcello Veneziani. Che brutta storia, Mister Fini. Ora accusa suo cognato, Giancarlo, la famiglia Tulliani e pure la sua compagna Elisabetta, di averlo ingannato sulla vicenda della casa di Montecarlo. Ricordate? Una nobildonna devota alla fiamma donò una sua casa ad Alleanza Nazionale. Fini lasciò che fosse svenduta a una società che faceva capo ai Tulliani, alla modica cifra di 300mila euro per essere poi rivenduta con quasi un milione in più.

Storia veramente brutta, non solo e non tanto per la speculazione ma perché era una donazione nel nome degli ideali a una comunità politica, poi svenduta per loschi fini personali. Ora Fini riconosce la porcata ma dice che lui non sapeva, è stato raggirato anche dalla madre delle sue figlie; così lasciava che quella casa fosse svenduta, che il beneficiario fosse suo cognato, in combutta con la famiglia, ivi compresa la sua compagna.

Il minimo che si può dire è che sia stato ingenuo: non ha mai sospettato quel che i giornali già scrivevano da allora, non ha mai saputo nulla, nemmeno dei soldi che nel nome dell’amicizia con lui, aveva dato ai Tulliani il re delle slot machine, Francesco Corallo. Eppure Fini in quel tempo frequentava suo cognato e anche Corallo; ma non sapeva nulla, nemmeno del vivace traffico sui conti bancari di sua moglie. Poi il gesto di Corallo di donare ai Tulliani ingenti somme di denaro, viene premiato dalla Provvidenza con una tempestiva legge in favore delle slot machine, approvata dal Parlamento, al tempo presieduto da Fini.

Non ci interessa la questione giudiziaria, non ci interessa nemmeno la storia degli ingenti appalti alla famiglia Tulliani che Fini chiese e in parte fece ottenere dalla Rai. E sul piano umano, auguriamo a Fini, che ha patito non poco i suoi errori in questi anni, buona vita con assoluzione e che ritrovi pace anche in famiglia.

Resta però la storia di un leader, assai amato e stimato in quel tempo, che avrebbe potuto essere in breve tempo alla guida del centro-destra, e che giocò malamente la sua partita, lusingato da Napolitano e dal circo mediatico-politico-giudiziario di sinistra che lo stava usando per sfasciare il centro-destra. Quelli lo raggirarono anche più dei Tulliani. Il suo errore più grave non fu quello di mettersi contro Berlusconi, di cui era stato alleato e fin troppo sottomesso per più di quindici anni (mai un’iniziativa politica autonoma, mai una pressione su B. perché veicolasse nel suo impero mediatico, idee e temi “di destra”, mai una battaglia e un segno lasciato dalla destra al governo). Ma di aver tradito, a ogni livello, il suo partito e i suoi elettori, il suo popolo.

A un certo punto Fini cominciò a detestare il suo partito, a mostrare insofferenza verso i suoi stessi dirigenti, e a farsi convincere che il suo peso specifico fosse ormai superiore a quello del suo partito; quindi liberandosi da An, e abbandonando le posizioni di destra, sarebbe diventato il leader del Paese. Raccolse lo zero virgola qualcosa, s’inimicò non solo la potente macchina berlusconiana ma anche gli elettori di destra e i militanti di una vita.

In realtà Fini funzionava nei comizi o nelle comparsate in tv: era uno speaker chiaro ed efficace, dai concetti elementari, funzionava. Ma poi non aveva spessore politico e strategico di leader, tantomeno intelligenza e cultura, non era un gran lavoratore (a differenza della Meloni che studia tanto); è un animale a sangue freddo, senza passioni ideali, senza empatia e comunicativa umana. Insomma, era quel vuoto di cui tanti, da Craxi in poi hanno detto. Perso il suggeritore Tatarella, morto precocemente alla fine del secolo scorso, Fini cominciò a sbandare, a subire influenze varie e nefaste, tra cui quella dei Tulliani. Veniva però pompato a sinistra: ponti d’oro a chi da destra rinnega la destra, a chi fa saltare il banco delle alleanze, a chi attacca il leader del suo schieramento. Anche la gente di sinistra prese a parlare bene di lui, ma alla domanda conseguente, se lo avrebbero votato, rispondevano: che c’entra, io sono di sinistra.

Insomma sia Fini che i suoi estimatori di sinistra pretendevano che il popolo di destra lo premiasse mentre demoliva la destra e l’alleanza di centro-destra. Dopo aver cancellato il Movimento sociale, dopo aver sciolto Alleanza Nazionale nel Popolo delle libertà, Fini distrusse così anche l’ultima traccia di destra. Quando finì miseramente la sua parabola politica, non c’era più la destra in Italia, era solo una costola minore del berlusconismo. Giorgia Meloni, con La Russa, Crosetto, Rampelli e pochi altri, ripartì da zero fondando Fratelli d’Italia. E quel partitino che non arrivava nemmeno al mitico cinque per cento del vecchio Msi, alla fine volò, fino a raddoppiare i consensi di Alleanza Nazionale e a guidare il governo.

Ora Fini si rivede spesso in tv, dall’Annunziata e non solo, e pare che rimediti un suo ritorno in campo, magari alle Europee. Anche scaricare i Tulliani può rientrare in questa strategia di recupero politico. Fini ha buoni rapporti con la Meloni e con alcuni suoi ex colonnelli. Ma una sua candidatura toglierebbe alla destra assai più voti di quanti ne porterebbe, tanto è impopolare; anzi sarebbe alto il rischio che molti vedrebbero in questo suo recupero la conferma che pure la Meloni stia “tradendo” le idee che aveva affermato prima di andare al governo. Lasciate a Fini il diritto-dovere all’oblio. E la Meloni, semmai, prenda esempio dalla sua parabola per ricordarsi che tradire chi ti ha votato non paga mai.

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/il-ritorno-di-fini-che-scarica-i-tulliani/

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1 Response

  1. Palladin ha detto:

    La MELONI ha tradito il suo Elettorato:è finita politicamente perchè ha perso la sua credibilità

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