Il pretesto.

di Luca Anedda. Un pretesto. Questo è quanto il Presidente francese Macron sta cercando attivamente per intervenire militarmente in Niger e seppellire il Generale Tchiani, reo di aver deposto il Presidente eletto Mohamed Bazoom.

Il fatto di ricercare attivamente una motivazione in punta di diritto per giustificare un intervento militare, altrimenti ingiustificabile, è un mantra nel processo decisionale delle democrazie occidentali. Quando gli americani decisero di intervenire in Vietnam e iniziare una disastrosa guerra ventennale che causò più di un milione di morti tra le file dei vietnamiti e oltre 55000 morti americani, fu inventato l’incidente del golfo del Tonchino, dove dei barchini nordvietnamiti avrebbero minacciato delle navi da guerra americane.

Uguale sorte tocco anni dopo all’Iraq, il cui intervento fu giustificato dalla assoluta certezza del possesso di armi chimiche da parte di Saddam Hussein, circostanza questa rivelatasi successivamente clamorosamente falsa. L’intervento in Libia voluto ardentemente dal Presidente francese Sarkozy, deve essere ancora giustificato compiutamente.

Si invoca la “moral obligation” cioè la necessità di intervenire per evitare che fossero commesse atrocità nei confronti di popolazioni interne. Nel caso di Gheddafi si colse l’occasione di un suo discorso pubblico nel quale minacciava alcuni gruppi di ribelli di Bengasi.

Il disastro creatosi in quel Paese è sotto gli occhi di tutti e le conseguenze dirette per l’Italia si possono toccare quotidianamente. E non parliamo naturalmente delle indicibili sofferenze umane durante e dopo l’intervento militare (prevalentemente aereo, fatta eccezione per alcune azioni, sul terreno, di alcune Forze Speciali).

Dunque, per risolvere la questione del Niger il Presidente Macron sta cercando attivamente un pretesto. Di portare la questione alle Nazione Unite non se ne parla nemmeno; con Russia e Cina membri permanenti del Consiglio di sicurezza le possibilità che una risoluzione di intervento militare in Niger possa vedere il semaforo verde è pari a zero. Anche la versione usata per la Libia è impraticabile: il colpo di stato in Niger è avvenuto senza spargimento di sangue ed anzi, a dirla tutta, con un largo consenso della popolazione.

Ecco perché il 29 sera, dopo la riunione del Consiglio di sicurezza a Parigi si è puntato sull’ECOWAS e sul suo Presidente, che poi è anche il Presidente del più importante dei paesi membri: la Nigeria

Da qui lo sconsiderato ultimatum emesso da Bola Tinubu: 7 giorni per reinsediare Bazoom, al termine dei quali si scatenerà la guerra di ECOWAS alla Nigeria.

Una barzelletta.

L’ECOWAS, organizzazione economica, non ha nessun appiglio giuridico per intervenire in una situazione del genere. Sarebbe una palese forzatura. Del resto, non lo ha fatto né per il Mali né per il Burkina Faso, anche loro membri ECOWAS, perché ora sì nel caso del Niger?

Ma ancora di più vi è il fatto che manca assolutamente il supporto popolare. Il confine tra Nigeria e Niger è lungo quasi 1000 km ed è assolutamente poroso; gli scambi commerciali sono attivissimi, ma soprattutto, le relazioni tra tribù sono profonde così come i legami di sangue. Sarebbe una guerra fratricida, che il popolo non vuole assolutamente. Questo hanno detto i Senatori Nigeriani a Tinubu dopo l’ultimatum. Specie quelli delle regioni del nord e di confine.

Tinubu è un presidente debole. Molto debole, che trae forza dai suoi legami con l’Occidente, ma che in patria ha una popolarità in picchiata, nonostante sia stato eletto solo nel maggio di questo anno e con il più basso voto percentuale della storia della Nigeria democratica. Di recente George Galloway ex membro del Parlamento del Regno Unito ha riportato come Tinubu forse implicato in un giro di scambi di denaro tramite valigette, a Chicago, con membri della mafia locale.

Ma c’è di più. Questo per molti africani non è l’ennesimo colpo di stato ma si inserisce dopo quelli di Guinea, Mali e Burkina Faso, in un processo di affrancamento dalla dominazione coloniale francese.

Così afferma con forza la Dottoressa Arikana Chihombori-Quao , medico, e soprattutto, dal 2016 al 2019 rappresentante permanente dell’Unione Africana alle Nazioni Unite. Ebbene in sua recente intervista proprio ad una emittente nigeriana, ha affermato con forza che questi ultimi avvenimenti rappresentano il riscatto del popolo africano nei confronti di amministratori corrotti e che rispondono solo agli interessi delle potenze ex- coloniali; che poi di ex hanno realmente poco.

La vicenda del CFA, la moneta stampata in Francia e in uso nei paesi quali appunto il Niger, rappresenta tutt’oggi un vero e proprio giogo ai quali finora questi paesi non sonno riusciti a sottrarsi. La Francia paternalisticamente sostiene che altrimenti questi 15 paesi nei quali questa moneta viene fatta circolare, non avrebbero le risorse per produrla; ma ciò non trova riscontro nella realtà soprattutto osservando ciò che avviene in altri paesi di simili caratteristiche, nei quali la moneta viene stampata regolarmente in loco.

Sta circolando un video che è diventato virale presso i siti internet africani, del nostro Presidente del Consiglio, prima che fosse eletta tale, nel quale attacca pesantemente il Presidente Francese su questi temi.

Inoltre, L’ECOWAS dovrebbe approntare forze militari che non ha, e si sa, fare la guerra costa. Servirebbero risorse e armamenti appropriati. Ma per questo, come è noto, c’è un fornitore ufficiale che è sempre pronto a far felice la potente lobby delle industrie belliche; certamente a queste ultimamente il lavoro non manca, con l’Ucraina che reclama ogni giorno le sue vagonate di armi ed equipaggiamenti e sembra essere un business sicuro per ancora diverso tempo. Ma perché limitare gli orizzonti. Non sorprende dunque che Tinubu nella doppia veste di Presidente Nigeriano e di ECOWAS, sia atteso a braccia aperte da Biden, a settembre, in visita ufficiale a Washington.

Eppure, la soluzione ECOWAS rimane molto complicata proprio perché assolutamente impopolare. E dunque, nel caso non si riesca a percorre questa strada, occorre comunque intervenire per spegnere l’incendio troppo contagioso del Niger.

Alcune fonti riportano che la Francia abbia richiesto all’Algeria l’autorizzazione al sorvolo per i suoi velivoli militari. Tale autorizzazione è stata per il momento negata, ma è stata concessa, invece, dal Marocco.

Ma a Macron manca il pretesto per rendere legale una guerra che legale non è. Avendolo si potrebbe dare il via ad un’operazione come quella già collaudata in Libia: grande uso dell’aviazione, e pochi e selezionati interventi di Forze Speciali, ed il gioco sarebbe fatto. Aver ragione del secondo Paese più povero al mondo non dovrebbe essere difficile. Un Paese, il Niger, in cui quasi il 90% della popolazione non ha elettricità, ed oltre il 47% vive sotto la soglia di povertà assoluta.

La triste realtà di questi stati africani è che, se un governante vuole governare a lungo deve riscuotere l’approvazione del referente occidentale; altrimenti dura poco. E poco importa se il popolo vive in condizioni di miseria dal quale non può rialzarsi. La parola bandita è: nazionalizzazione. Qualche giorno fa è stato l’anniversario dei 70 anni dalla rimozione di Mohammad Mossadeq, Primo Ministro Iraniano regolarmente eletto e imprigionato a seguito di un colpo di stato organizzato da Inglesi e Americani; la colpa? Aver deciso di nazionalizzare le risorse petrolifere fino ad allora appannaggio di quella che dopo qualche anno sarebbe stata ribattezzata BP, British Petroleum.

Degli oltre 100 colpi di stato che dal 1945 in poi la Cia ha organizzato molti sono legati alla questione delle risorse del sottosuolo. Anche in Africa dal 1960 in poi si contano oltre 110 colpi di stato che per la cronaca, hanno visto il reinsediamento del vecchio capo solo una volta; dunque, non un buon auspicio per Bazoom.

Ma ecco che forse il tanto atteso pretesto legale per intervenire potrebbe essere servito a breve dalla situazione che si sta sviluppando proprio presso l’ambasciata francese in Niger; Dopo lo sfratto intimato dal nuovo governo militare del Niger all’ambasciatore, quest’ultimo ha rifiutato di lasciare l’ambasciata e rientrare in Francia.

Numerose proteste sono in corso intorno all’ambasciata francese da parte di cittadini Nigerini e il Generale Tchiani ha staccato la corrente al sito e di fatto lo ha assediato. Immancabile è arrivato l’appoggio dei vertici dell’Unione Europea che ha condannato il vile atto della giunta golpista e si è schierata con la Francia ed il suo ambasciatore.

Non rimane che attendere gli sviluppi. Ma questa vicenda potrebbe risultare ancora più pericolosa di quella che si è sviluppata in Libia. Questa volta, come dice la dottoressa Chihombori, il Sahel è in fiamme e l’estate africana di rivolta potrebbe essere molto contagiosa. Il solco con l’occidente è già molto profondo.

Queste genti, dal mediterraneo al Sud Africa sono stanchi di essere trattati come scolaretti a cui deve essere impartita la lezione di come sedersi alla tavola imbandita dell’occidente, da cui non hanno tratto che briciole. Inoltre, adesso possono scegliere; ci sono altre tavole dove sedersi e dove le possibilità di rimediare un pasto finalmente decente non è più un sogno.

Quindi farebbe molto bene Macron a non pensare solo al pretesto ma anche al dopo.

Come disse Powell a Bush prima dell’invasione dell’Iraq:” Signor presidente, si ricordi che se lo rompe (l’Iraq) i cocci, dopo, sono suoi”.

 I cocci, in Iraq, sono rimasti lì.

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1 Response

  1. Salvatore Conenale Pintop ha detto:

    Ottimo articolo.
    Almeno in Africa gli stati coninisno a ribellarsi al neocolonialesimo.
    In Europa non hanno ancira cominciato.

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