Il pet market è un affare per famiglie millennial.

di Davide Burchiellaro. I cani sono persone? Per prendere sul serio questa domanda bisogna aver letto uno speciale di Intelligent Life, uscito qualche anno fa. Portare il tema dal livello “chiacchiera dal parrucchiere” al livello “dibattito intellettuale” è un passaggio fondamentale per tutti quelli che leggono le statistiche di crescita del mercato del petfood. Nel mondo, e in Italia. Nelle nostre famiglie vivono 60,3 milioni di animali da compagnia, in maggioranza cani e gatti.

Ora, è dimostrato che i cani comprendono fino a 600 parole umane ed è innegabile che nostra civiltà non sarebbe stata la stessa senza questi compagni come membri di famiglia.

Brian Hare e Vanessa Woods, della Duke University in North Carolina, nel libro The Genius of Dog usano addirittura la parola “gentilezza” come chiave per spiegare l’adattamento del cane: i primi cani sarebbero stati “gentili” con noi e alla fine pare che siano stati loro ad adottarci. Per gli accademici, «la simbiosi ora è totale e il cane legge anche i lievi movimenti nell’occhio umano».

E quindi sì, al di là di quanto ognuno di noi possa amare al fanatismo il proprio pet, i cani sono persone. Alle quali l’industria globale degli animali domestici punta sempre di più, forte di una crescita che solo in italia è del 2,8% con un giro d’affari oltre due miliardi di euro all’anno (dati Assalco 2022).

La chiave di tutto questo mercato sono ovviamente i proprietari degli animali: quella dei millennial è la generazione più convinta della necessità di avere pet in casa e rappresenta il 35% del totale dei proprietari di animali domestici. A seguire ci sono i Baby Boomer, le cui scelte però sono tutte incentrate sugli animali come “terapia antinvecchiamento” (passeggiate, antidoto alla sindrome del nido vuoto ecc). Per i primi invece un cane o un gatto rappresentano un elemento necessario nella formazione di una famiglia.

È proprio questo, quello dei millennial, il cluster di pubblico più interessante per le aziende. Per un boomer un cane deve rosicchiare un osso e un gatto spiluccare lische di pesce, come nei migliori cartoni animati di Hanna Barbera. Per i millennial e la generazione Zeta, invece, questi pet devono essere alimentati con prodotti rigorosamente bio, e i loro malanni trattati con cure naturali, omeopatiche, erboristiche, ayurvediche, integratori efficaci. E questo è un messaggio che ha già innescato una nuova comunicazione tra aziende, veterinari e pubblico.

I trattamenti antidolorifici a base di marijuana, per esempio, piacciono a molti proprietari millennial di cani e gatti, e i vet più sperimentatori stanno già ottenendo un buon successo nelle prescrizioni. Ma più in generale la tendenza è: ingredienti naturali, filiere sostenibili, marketing dell’autenticità. Tutto a prova di green washing per lavarsi la coscienza.

I prodotti per i nuovi acquirenti quindi dovranno assicurare oItre al benessere dei pet anche la salvaguardia delle api, la sostenibilità agricola e zootecnica da cui provengono. Nel mondo oggi gli animali selvatici sono soltanto 4% della fauna mondiale. Mentre sul pianeta ci sono oggi un miliardo di cani, i cui consumi alimentari sono paragonabili a quelli umani. L’impatto ambientale della produzione di petfood è potente. Per le aziende questi sono i problemi sul piatto, anzi, nella ciotola. E non consentono “trucchi da quattro soldi” come direbbe Raymond Carver.

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