Il diritto e il dovere dell’accoglienza.
Il mio amico ha battuto forte il tasto sulla disuguaglianza, sull’impossibilità di fare vera integrazione, sulla facilità con cui stabiliamo chi è bravo e chi cattivo, sul bene e sul male, soprattutto sul cosa è giusto e ingiusto. Gli ho risposto che non lo afferravo troppo, o meglio lo afferro come una clava, perché dall’alto appare come una mediazione tra ogni forma di assolutismo, dal basso allo stesso tempo taglia carne e ossa di ogni eventuale e democratica tutela di diritti e doveri di ogni cittadino, si, perché cittadino con diritto di cittadinanza è colui che non fa razzismo al contrario, che non delinque, che non si spaccia per rivoluzionario di una controversia che non c’è. Il mio amico imperterrito ribadisce che non ama parlare di integrazione bensì di interazione, e io ritengo sia buona cosa, condivido, e non mi pare ci sia da fare polemica distruttiva su quanti vengono nel nostro paese per salvarsi la vita, per non essere torturati, o sottoposti a vessazioni di ogni tipo. La libertà non è mai una puttana. Di certo però occorre prendere atto che se non c’è chi è migliore, come sottolinea lui, c’è necessità di diventare migliori, questa è strada che si inerpica tra cambiamento e resistenza alla sopravvivenza, comporta scelte coraggiose, non suicidiarie-compassionevoli, ma vestite di giustizia, quindi non consentendo ad alcuno di rubare, peggio, rapinare la dignità ad alcuno. Sugli immigrati e sull’immigrazione c’è poco da fare puzza sotto il naso, sulla disperazione delle persone c’è poco da scandagliare o reperire giustificazioni, chi è disperato davvero è senza più speranza, ossia un pacco bomba a breve o a lunga gittata-distanza. Dividere i cittadini tra buoni e cattivi è politica a basso costo? Ma Caino e Abele sono esistiti ed esistono, c’è chi colpisce e chi rimane assente ingiustificato, ci sono le assenze eterne che diventano presenze costanti, c’è il dolore, la tragedia, il castigo, la capacità di ritrovare un senso, di riparare, di perdonare, di ritornare a essere finalmente uomini migliori. C’è in corso nel nostro paese un ingiusto e miserabile taglio sociale sui minori e sulle minoranze, ma ciò non credo sia riconducibile a una comunicazione manipolata e manipolante, ritengo sia il risultato di una politica che non c’è, di stive di dobloni che hanno preso altre vie e soprattutto di soldoni caricati in capitolati diversi da quelli concordati in partenza, il che mi pare sottenda altro ragionamento. Dietro alla dicitura “sicurezza” si celano da sempre nefandezze inenarrabili, privilegi e azzeramenti dis-umani, allora da una parte sarà bene ricordare Lenin quando ebbe a dire: la fiducia è bene, il controllo è meglio. Infatti con il senno del poi ne abbiamo visto la più drammatica degenerazione. Dall’altra sponda è urgente rimanere distanti da emarginazioni e marginalità, proprio perché chi sopravvive ( non vive quindi ) emarginato, a sua volta emarginerà gli altri, bianchi o neri, buoni o cattivi, giusti e ingiusti. Personalmente non ho parentele-prossimità con accelerazioni ideologiche sulla crisitianità, sulle religioni, sulle politiche, ma quel “ero forestiero e mi avete accolto” di cui fa cenno il collega, ho l’impressione che porti gli scarponi chiodati di altra potente affermazione “ ero in carcere e siete venuti a trovarmi”, sono respiri di un vangelo scomodo, e per questo intriso di sangue e verità. Il mio amico mi risponde che con il Vangelo non si bara, ha ragione da vendere, ma sebbene la coscienza evangelica non abbia trucco a poppa, non per questo mette con le spalle al muro quanti sostengono a buon diritto che anche il rispetto è buona cosa, la reciprocità anche, e nel dirgli questo non faccio finta di non sapere che ci sono tanti poveracci in carcere, nei centri identificazione ed espulsione, a Lampedusa o da altre parti del territorio nazionale, e non sono trattati nel rispetto della dignità umana. L’ingiustizia e il sopruso non hanno passaporto di entrata da nessuna parte del mondo. Essere e fare comunità significa potere vivere e non solo sopravvivere, ma se sopravvivi perché non c’è lavoro, non ci sono danari, non ci sono spazi condivisi per assenza di coerenza e quindi generosità, non c’è neppure accoglienza, ancora meno se non è fatta rispettare la regola dell’accoglienza: l’accoglienza è proponibile solamente se nel suo dna c’è radice che permette di realizzarla, attraverso quelle regole dirette-comprensibili che però debbono esser fatte rispettare. Se non chiariamo questo punto non sapremo vedere mai un volto umano.
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