Fuori dalla recessione(!?), ma in piena emergenza sociale e democratica.

di Gerardo Lisco. Quando osservo i cambiamenti in atto nella società italiana mi viene in mente il saggio di Polanyi dal titolo “La grande trasformazione”. Leggendo le pagine dei giornali di oggi che commentano gli ultimi dati Istat che descrivono la situazione economica italiana, mi rendo conto che stiamo assistendo a un cambiamento epocale paragonabile a quello descritto appunto da Polanyi. Stiamo passando da un sistema sociale, politico ed economico ‘Democratico-Sociale’ ad uno ‘Liberale-Oligarchico’. Il motore ideologico delle trasformazioni in atto è l’idea del mercato come unico e solo regolatore delle relazioni tra soggetti nell’ambito dello spazio geografico chiamato Unione
Europea. Dalla relazione 2015 dell’Istat emerge che l’Italia è fuori dalla recessione, ma questa fuori uscita in sostanza non sta producendo effetti sull’occupazione ( 88.000 occupati in più non significano nulla rispetto a un lavoro sempre più precario, meno retribuito e con meno tutele) e soprattutto non interessa quella forza – lavoro qualificata, cioè fatta di laureati, la quale preferisce emigrare. Altro dato sul quale riflettere è la crescita occupazionale di quelle imprese che non investono in ricerca e innovazione, ma appartengono a un sistema produttivo tradizionale che agisce più sul basso costo del lavoro che sulla qualità dall’alto valore aggiunto rappresentato appunto dal lavoro altamente qualificato. Sono dati questi che, letti contestualmente alle politiche del lavoro e alla controriforma della scuola pubblica, dicono una sola cosa e cioè: la grande trasformazione in atto sta facendo scivolare l’Italia ad un gradino più in basso di Paese a sistema economico e sociale avanzato. Gli indirizzi Comunitari in materia di politica economica, del lavoro, finanziarie, ecc., che il governo italiano osserva pedissequamente, attribuiscono a ciascun sistema nazionale una funzione specifica rispetto alla costruzione dell’Unione Europea. Al di là dei continui richiami ideologici alla concorrenza e alla libertà di mercato, gli indirizzi Comunitari operano invece in senso dirigista calibrando le specificità di ogni Stato in funzione della creazione di un sovrasistema che, per forza di cose, finisce con il favorire l’elemento più forte e dominante: la Mitteleuropa e quindi il sistema tedesco. Il Jobs Act come la defiscalizzazione delle assunzioni, non accompagnati da forti investimenti nel settore dell’innovazione e della ricerca e da politiche redistributive, hanno come obiettivo il rilancio del sistema produttivo italiano attraverso la riduzione del costo del lavoro, nello specifico dei salari delle maestranze impiegate, e il sostegno a un sistema produttivo fondamentalmente subalterno a quello dominante. Come può un sistema produttivo fatto di piccole imprese competere con grandi imprese? E’ del tutto evidente che possono solo accaparrarsi produzioni residuali, come è del tutto evidente che hanno difficoltà ad accedere a fonti di finanziamento. In un sistema di scambi come quello Comunitario, i lavoratori qualificati non sono funzionali al sistema imprenditoriale italiano, ridotto ad imprese che mirano più ad essere concorrenziali con i Paesi emergenti che con sistemi industriali avanzati. Un sistema imprenditoriale che punta per il rilancio su lavoro poco qualificato e poco retribuito, più che guidare, accetta di essere guidato e di svolgere un ruolo subalterno. Gli strumenti che i tecnocrati UE stanno mettendo in campo, motivandole con l’ideologia del libero mercato, di fatto stanno creando le condizioni per favorire un sistema di scambio che tutela oligopoli e monopoli e le posizioni dominanti di alcuni Paesi rispetto agli altri. Se Ricerca e Innovazione sono i fattori che determinano la qualità di un sistema industriale rispetto ad un altro, sono i condizionamenti alle politiche di bilancio, formative e occupazionali gli strumenti attraverso i quali si pianifica l’integrazione europea orientando il mercato. Il richiamo che ho fatto all’opera di Polanyi è significativa per capire ciò che sta succedendo oggi. Il mercato non è un elemento naturale, come sostengono gli economisti main-stream, è un prodotto delle relazioni sociali. Il sistema economico europeo in corso di costruzione ha stabilito che le aree periferiche dell’UE, quindi l’Italia e nello specifico il Mezzogiorno devono avere una funzione residuale e di servizio rispetto alle aree forti.

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