Dipendenti pubblici: tra burocrazia e cittadini infuriati!

Impiegati pubblici. Una categoria che risulta essere, almeno in Italia, la più bistrattata e osteggiata. Trattati male sia dai cittadini che li considerano dei parassiti “intoccabili”, per via del “posto fisso”, sia dallo Stato che li retribuisce con quattro soldi! Per un impiegato statale che “sbaglia” un’intera categoria viene impietosamente accusata di incompetenza, lentezza e inefficienza dal cittadino sfiancato dall’interminabile iter burocratico di certe pratiche. Come se l’impiegato esposto in prima linea alla gogna dello “sportello”, a diretto contatto col pubblico, fosse davvero lui l’unica causa di certe disfunzioni, che invece andrebbero ricercate ben più in alto. Ma le lamentele dei cittadini si fermano davanti allo “sportello”, risparmiando direttori generali, dirigenti, ministri e sottosegretari pagati molto profumatamente dal medesimo datore di lavoro: lo Stato! E così sul malcapitato impiegato di turno finiscono per scaricarsi le responsabilità di tutta una classe dirigente che il più delle volte non sa o non vuole “dirigere”, e le lamentele degli utenti per il malfunzionamento del servizio pubblico. Poi va da sé che i travet dello Stato, nell’immaginario collettivo, siano solo dei pedanti burocrati, oziosi e svogliati, quanto voraci predatori di eccessive risorse finanziarie perché ritenuti troppo numerosi per quel che fanno e per questo poco amati dal resto dei cittadini. 

Ma sono davvero così tanti i dipendenti pubblici del Belpaese? Un fatto è certo. Con il blocco del turn over (pensionamenti e blocco delle assunzioni) il personale è continuato a calare negli anni. Tra il 2008 e il 2011 gli impiegati statali sono diminuiti di circa 154.000 unità passando da 3.436.000 a 3.247.000. Tradotto in percentuale un 5% in meno. Nel 2012 la cura dimagrante è proseguita e considerati i tempi è facile immaginare che il trend è destinato a continuare! In Europa la media degli impiegati pubblici è del 5,88% della popolazione. In Italia statali e lavoratori delle amministrazioni periferiche sono il 5,7%, più o meno gli stessi della Germania (5,47%). In Inghilterra ne hanno di meno (3,41%), ma svedesi e francesi ci superano abbondantemente (rispettivamente 12,36% e 8%). Quindi, scopriamo, con estrema sorpresa, di essere in perfetta media con gli altri stati d’Europa! 

E allora, come mai tanta ostilità nei confronti dei travet e perchè così tanta acredine da definirli assenteisti, fannulloni, fancazzisti, ma nonostante tutto dei “privilegiati” considerata la loro inamovibilità dalla data di assunzione fino al pensionamento? Perché, purtroppo, in Italia la qualità del servizio pubblico è decisamente scadente e l’impostazione della prestazione lavorativa troppo irriguardosa nei confronti dell’utenza. Non esiste una graduatoria sulla qualità e l’efficienza dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione nei paesi d’Europa. Probabilmente se ci fosse, il nostro Paese occuperebbe uno tra gli ultimi posti. I motivi sono principalmente la scarsa e inadeguata organizzazione del lavoro, quanto meno arcaica, oltremodo superata, di tipo gerarchico-lineare che non consente nessuna autonomia dei singoli funzionari e comporta, causa la lentezza delle decisioni, un modesto livello di efficienza e un’eccessiva esasperazione della burocratizzazione. Competenze che si accavallano, enti superflui, modalità di comunicazioni indaginose tra i vari uffici, completano l’elenco dei disservizi da eliminare. 

E i cittadini? Soddisfatti o infuriati? Quale sentimento prevale dopo una mezza giornata sprecata a rincorrere cavilli burocratici o nella snervante attesa di una prestazione sanitaria? Ovviamente l’indignazione, perché da parte degli enti pubblici non si persegue l’ottimizzazione del servizio al cittadino, bensì il rispetto di certe regole vecchie e obsolete tese a compiacere certi apparati e non a rendere più facile la vita degli italiani. Negli uffici pubblici “la burocrazia” è un potere al servizio esclusivo delle carriere politiche e dirigenziali che, parteggiando per gli interessi della “casta”, non si pone come obiettivo prioritario l’appagamento di un bisogno del cittadino. 

E poi i criteri di reclutamento che soprattutto per certe cariche di alta responsabilità, non garantiscono la migliore competenza possibile per l’adempimento di ogni specifica funzione. Nomine politiche, clientelismo, voto di scambio, interessi lobbistici, nepotismo e baronie, calpestano il merito e, favorendo l’appartenenza, piuttosto che la competenza, mortificano la capacità e l’impegno, promuovendo figure professionali inadeguate e molto spesso mediocri. 

È questa la causa principale dell’inefficienza dei servizi pubblici ed è questo l’ostacolo più difficile da rimuovere. Occorre, pertanto, attivare un processo di riorganizzazione e riqualificazione del personale, attraverso dei corsi di addestramento e di formazione mirati ad ottenere la soddisfazione dell’utenza; trasformare la dirigenza da servile e inconcludente in figura dinamica, manageriale, collaborativa e decisionista; ripartire dai bisogni che le amministrazioni devono soddisfare e non dagli uffici o dalle poltrone da assegnare! Insomma occorre, in tempi brevi, una qualche misura drastica e delle precise scelte politiche. Ancora una volta, come del resto è giusto che sia, la politica, nel bene e nel male, pianifica e definisce la qualità del servizio pubblico. D’altronde è impensabile che individui senza stimoli di carriera e pagati con stipendi da fame, possano autodeterminarsi e da soli decidere come organizzarsi e regolamentarsi. Fatalisti e rassegnati, depressi e scazzati, i dipendenti pubblici, si limitano ad espletare, come da contratto e, quindi, senza infamia e senza lode, più o meno coscienziosamente, la propria monotona e ripetitiva mansione di tutti i giorni, finchè pensione non sopraggiunga!

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