di Dino Carratu’. La Perugina propone un ‘patto generazionale’, che prevede la riduzione del lavoro da 40 a 30 ore settimanali in cambio della possibilità di assunzione di un figlio con un contratto di apprendistato. La Cgil dice “no” (come al solito), mentre noi diciamo si. Azienda a parte (alcuni dicono che è mossa pubblicitaria per nascondere assenza investimenti della Nestlè a Perugia) il principio è sacrosanto, e non in nome del “patto generazionale”, ma in nome della libertà: come l’azienda è libera di fare un proposta del genere al lavoratore, il lavoratore è libero di accettare. Il lavoratore è libero di lasciare il posto di lavoro quando gli pare (a differenza dell’azienda, almeno in Italia) e quindi esercita una sua libertà se decide di ridurre il proprio orario di lavoro (e quindi lo stipendio) per dare un’opportunità ai propri figli. È uno scambio che si basa sulla libertà, non sulla coercizione. È uno scambio che fa vincere il lavoratore (e la sua famiglia) che da un’opportunità a suo figlio conservando il proprio posto di lavoro e l’impresa che inizia a formare i lavoratori di domani prima del previsto. Insomma, il patto generazionale non c’entra. È una questione di libertà. Un principale che difenderemo sempre. Come fanno tutte le destre occidentali.
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