Pico Di Trapani: “Siamo consapevoli della sfida lanciata alla mafia”.

di Alberto Sigona. Mia esclusiva intervista a Pico Di Trapani uno dei responsabili dell’Associazione “Comitato Addiopizzo”.

Un tempo il commerciante singolo che decideva di denunciare veniva lasciato solo, alla mercé della vendetta della mafia. Addiopizzo ha contribuito alla creazione di una rete di solidarietà e protezione che tutela chi vuole fare questo grande passo di rottura.

Addiopizzo nel 2004 è nata con l’obiettivo di aiutare le vittime del racket e di “guastare la festa” alla Mafia. Ad oggi, dopo 20 anni, cosa è cambiato nel “rapporto” fra cittadino e criminalità organizzata e che bilancio possiamo stilare riguardo la vostra lotta alla Mafia?

Storicamente la società siciliana ha mostrato, in maniera colpevole, sostanziale acquiescenza nei confronti del fenomeno mafioso, per disinteresse, sottovalutazione, timore o, peggio, aperta convenienza. Qualcosa inizia a incrinarsi a partire dalla purtroppo lunga sequenza di delitti cosiddetti “eccellenti” di inizio anni Ottanta, culminati nelle traumatiche stragi del 1992, che hanno “obbligato” a una reazione collettiva.

Addiopizzo nasce su quella spinta, seppure venti anni dopo, e ha contribuito a un ulteriore passo in avanti nella lotta alla mafia. Ciò che siamo riusciti a realizzare si rileva in rapporto a un cambio culturale, una nuova mentalità che finalmente è riuscita a emanciparsi dalla rassegnazione, dal fatalismo, dall’idea che lo strapotere della mafia fosse inarrestabile. Dal 2004 a oggi si è radicata la convinzione che pagare il pizzo è sbagliato, denunciare è possibile e soprattutto è possibile farlo in assoluta sicurezza, per se stessi, la propria famiglia e la propria attività economica, senza timore di alcuna ritorsione. I dati parlano di un aumento sostanziale delle denunce rispetto ai primi anni Duemila, anche se tanto ancora va fatto ed è possibile fare.

Nonostante l’impegno vostro e di altre associazioni similari, e ovviamente dello Stato, la Mafia continua a taglieggiare i commercianti (interi quartieri sono coinvolti a tappeto da questo cancro, inchinandosi alle richieste degli estortori). Come mai? Cosa c’è ancora da fare per invertire la tendenza?

Bisogna continuare nella direzione del cambiamento. Occorre un costante lavoro di raccordo tra istituzioni, operatori economici, cittadini, scuole, da coinvolgere in questa opera collettiva di rivoluzione culturale. Purtroppo l’egemonia mafiosa è antica e sradicare una mentalità diffusa non è azione di poco conto. Permangono ad oggi aree di Palermo e della Sicilia, quartieri e comuni della provincia, in cui è difficile fare breccia, evidentemente per una condivisione di valori con l’universo mafioso. Non si tratta quindi più solo di violenza subita, bensì di connivenza. Per realizzare un pieno cambiamento anche in quei frangenti occorrerà ancora un più deciso intervento dello Stato e del mondo del terzo settore, che riesca a eliminare le condizioni di disagio socio-economico e culturale che favoriscono il sorgere di fenomeni di delinquenza e criminalità mafiosa sul territorio.

Qual è la procedura che di solito attivate quando ricevete una richiesta di aiuto?

Si avvia subito un’interlocuzione con l’operatore economico, cercando di stabilire un contatto che sia innanzitutto umano. Chi si rivolge ad Addiopizzo è innanzitutto qualcuno che patisce paura e isolamento. Pertanto è importante mostrargli vicinanza, solidarietà e appoggio. Tutto ciò si concretizza nell’ascolto della sua storia, nella condivisione della sua scelta, nella promessa del massimo impegno a suo favore. È altrettanto importante stabilire un rapporto basato sulla sincerità: noi chiediamo che nulla ci venga nascosto circa l’episodio estorsivo che ci viene condiviso, da parte nostra viene messo in chiaro il percorso che attende l’operatore economico che si rivolge a noi.

La procedura ovviamente cambia di caso in caso, ma generalmente ci vede fornire tutto il supporto necessario. Quindi si concretizza in un proficuo dialogo con le istituzioni, forze dell’ordine, istituti di credito etc. L’operatore economico denunciante è assistito dal primo momento, fino a tutto il processo nei suoi diversi gradi di giudizio, psicologicamente e legalmente, e anche dopo la conclusione dell’iter giudiziario, con l’assistenza per l’accesso al Fondo di solidarietà per le vittime di racket e usura.

So che voi garantite assistenza legale gratuita ai vostri membri. Ma da dove provengono le vostre entrate?

La nostra associazione è una classica organizzazione di volontariato, per cui ci sosteniamo tramite il 5×1000, semplici donazioni liberali, cui si aggiungono occasionalmente singoli progetti cui partecipiamo per finanziare interventi specifici. Ad ogni modo, per ragioni di trasparenza che sin dall’inizio abbiamo voluto curare, pubblichiamo tutti i dati relativi al bilancio sul sito dell’associazione.

A cosa va incontro solitamente un commerciante dopo che trova il coraggio di rivolgersi a voi? Come “risponde” la Mafia?

Un tempo – il caso di Libero Grassi ne costituisce drammatica testimonianza – il commerciante singolo che decideva di denunciare veniva lasciato solo, quindi alla mercé della vendetta della mafia. Addiopizzo ha contribuito alla creazione di un network, una rete di solidarietà e protezione che tutela chi vuole fare questo grande e importante passo di rottura. Con la forza di questa rete, alla luce dei numeri degi operatori economici iscritti ad Addiopizzo e di cittadini sensibilizzati al supporto nei loro confronti, la mafia ha preso atto della reazione collettiva. Quindi preferisce non attuare alcuna strategia o azione punitiva. Ha compreso infatti che è più conveniente soprassedere, per evitare di incorrere in una controreazione ancora più forte, che metterebbe in crisi il suo controllo sul territorio.

I vostri adesivi riescono effettivamente a scoraggiare gli estortori?

Gli adesivi hanno costituito sin dall’inizio uno strumento comunicativo, per dialogare con la cittadinanza. Il logo del consumo critico, posto all’ingresso dell’attività di ogni operatore economico iscritto ad Addiopizzo, aveva come scopo quello di segnalare ai palermitani l’adesione al network. Poi, con nostra grande sorpresa ma anche soddisfazione, abbiamo appreso da intercettazioni e collaboratori di giustizia che era diventato un deterrente per la mafia, che evitava di mandare lì i propri estorsori, temendo una prevedibile reazione da parte del titolare dell’attività, che non avrebbe esitato a contattare Addiopizzo per la denuncia.

Avete paura?

Di cosa dovremmo avere paura? Certo, non siamo nemmeno incoscienti. Siamo consapevoli della sfida lanciata alla mafia. Ma ci facciamo forti della risposta strutturata, che abbiamo spinto sin dall’inizio perché fosse volutamente collettiva. Insieme siamo più forti. Quindi anche la paura, conseguentemente, diminuisce. Oggi, a vent’anni dalla nascita di Addiopizzo, possiamo raccontare una storia positiva. Finalmente.

Avete ricevuto minacce o intimidazioni?

Non è mai capitato. Forse non è più nemmeno la stagione storica delle minacce e delle intimidazioni, che per fortuna siamo riusciti a relegare a un passato più o meno recente, che abbiamo il dovere di non dimenticare. La mafia e la cultura di cui si fa portatrice preferisce oggi la delegittimazione, la maldicenza, l’insinuazione subdola. L’antimafia quindi viene tout court tacciata di essere una scorciatoia per il successo, per l’arricchimento facile, una via per l’accesso a immediate carriere politiche che altrimenti non avrebbero modo di decollare. Possiamo dire con soddisfazione che non è di certo il nostro caso.

Mi dà una definizione di “mafioso”?

In senso stretto, mafioso è soltanto colui il quale è affiliato formalmente all’organizzazione mafiosa chiamata Cosa Nostra. Solo questa operazione comporta per qualcuno l’accusa di essere mafioso. E soltanto l’eventuale dimostrata affiliazione produce la condanna per mafia in sede processuale. Eventuali differenti situazioni, che rivelerebbero comunque la collaborazione agli atti delittuosi di natura mafiosa, in assenza di un’acclarata affiliazione a Cosa Nostra, si traducono in condanne per reati di natura differente, quali il concorso esterno oppure il favoreggiamento.

Il mafioso è un individuo che appartiene a una famiglia dell’universo mafioso, occupa all’interno dell’organizzazione un ruolo variabile a seconda dell’età, delle capacità personali, delle esigenze della famiglia di appartenenza. In virtù della sua posizione svolge per la famiglia mafiosa tutto quanto gli viene chiesto, a meno che egli non sia il capofamiglia, che quindi è chiamato a coordinare le differenti attività illecite del gruppo sotto il suo comando dando gli ordini in prima persona.

In un’ottica più specifica, il mafioso è un essere umano che aspira, come la maggioranza di noi, al raggiungimento di una posizione economica agiata e di uno status sociale rilevante. La differenza sostanziale è data dal modo attraverso cui giungere a questo risultato, che per il mafioso si traduce nel ricorso alla violenza, all’esercizio di affari di natura illecita, nel generale disprezzo delle regole dello Stato e della comune convivenza civile. Non mi sembra una differenza di poco conto, ma che comunque non ci deve fare dimenticare – come ci ha insegnato Giovanni Falcone – di avere a che fare con uomini in carne e ossa, che vivono nel nostro stesso contesto, in cui agiscono dando luogo a condotte criminali cui siamo chiamati a opporci.

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