Vittorio Feltri: “Nei giornali comandano i padroni, è sempre stato così”.

di Vittorio Feltri. Non ci scandalizziamo se lo Stato decide di aiutare la Fiat concedendole un prestito cospicuo allo scopo di finanziare l’attività automobilistica in Italia che non vive giorni felici. Il fatto che la famiglia Agnelli sia proprietaria non soltanto di stabilimenti industriali, ma anche di una catena robusta di quotidiani, tra cui la Repubblica e la Stampa, ci lascia nella più completa indifferenza.

Chiunque abbia proseguito gli studi dopo le elementari sa che i media nostrani, quelli francesi e spagnoli sono figli dell’ideologia politica, appartengono a capitalisti determinati a coprire i propri affari e quelli di amici potenti della pubblica amministrazione.

Mentre la stampa anglosassone è nata con finalità diverse, infatti appartiene a editori puri che puntano al business, cioè a guadagnare con la vendita di quotidiani popolari e non.

Questa è la tradizione e c’è poco da discutere in quanto essa è consolidata.

Nel nostro Paese, tranne rare eccezioni, le maggiori testate sono sempre state nel portafogli di importanti imprenditori che le usavano per fare favori ai governi o per ottenerne, do ut des, in poche parole latine ma chiare.

Pertanto se Elkann controlla un impero editoriale non mi straccio le vesti, lo considero normale nella nostra Nazione anormale. Però, poiché sono dotato di buona memoria nonostante l’età, devo aggiungere una considerazione senza intenti polemici. Ci fu un periodo lungo durante il quale in patria imperversava una discussione inesauribile.

Al centro dell’acceso dibattito c’era soprattutto o esclusivamente Silvio Berlusconi, accusato di essere padrone e imperatore di varie emittenti e di altre attività cartacee tramite le quali egli influenzava gli orientamenti della opinione pubblica. Durante gli anni in cui Silvio dominava la scena romana non si parlava che di conflitto di interessi e alcuni grossi partiti si prodigavano per combatterlo o, meglio, per impedirlo. Si scatenò una vera e propria guerra contro il Cavaliere al quale rimproverarono di raccattare molti voti non perché li meritasse bensì grazie alla propaganda dei suoi potenti mezzi di informazione.

Le baruffe proseguirono per lustri, però una legge che vietasse a un uomo solo, per di più impegnato nell’agone politico, di guidare un gruppo non marginale di giornali e di televisioni, non vide mai la luce. Significa che non è facile contrastare gli interessi che tengono in piedi un colosso editoriale.

Oggi, in forme diverse, si ripete lo scenario: secondo i luogocomunisti, invero instancabili, bisognerebbe vietare a Elkann di usare i propri cannoni informativi per tutelare le proprie aziende. Operazione illusoria giacché le regole di mercato vengono imposte dal capitale e non dai comitati di redazione, che campano di stipendio e sono costretti a piegare la schiena sinché non riusciranno a fondare giornali propri che, comunque, saranno guidati da un pilota e non da quattro scagnozzi in bolletta.

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