Un’alleanza tra Stato e ricchezza nazionale con un contributo a fondo perduto.

di Paolo Cirino Pomicino. I governi di tutto il mondo, le banche centrali, compresa la nostra Bce, il Consiglio europeo confortato dal suo Parlamento e il nostro governo si stanno tutti muovendo quasi all’unisono inondando i singoli Stati e il mercato di una liquidità mai vista prima (circa il 20% del Pil mondiale che è di 84 mila miliardi di dollari) anche perché la crisi è globale e il mondo si è fermato per diverse settimane facendo così crollare domanda e offerta. La risposta globale al momento dunque è un debito illimitato per far fronte alle esigenze immediate delle imprese e delle famiglie. E purtroppo nel presente non c’è alternativa. Ma dopo il presente dietro l’angolo c’è il futuro con la previsione di un aumento terribile della spesa per interessi che togliere forza agli investimenti pubblici e alle altre politiche per la ripresa.

Poche sinora le voci che hanno posto il problema del domani. C’è quella di Innocenzo Cipolletta che propone la ricapitalizzare delle imprese attraverso un fondo pubblico che farebbe diventare lo Stato un azionista di minoranza di aziende strategiche per almeno cinque anni senza però dire dove lo Stato troverebbe le risorse. Invece del fondo pubblico forse si potrebbe agevolare fiscalmente le banche per quel debito che potrebbe essere trasformato in capitale di rischio in quelle aziende con un chiaro futuro industriale. Non vorremmo insomma che i liberisti di ieri diventassero gli statalisti di oggi sollecitando lo Stato a essere azionista di minoranza in gran parte delle medio-grandi aziende.

Più articolata e completa la posizione di Carlo Messina, ad di Intesa San Paolo, che sembra giustamente quasi ossessionato dall’incerto futuro del Paese chiedendo di pensare già oggi al prossimo domani. Le sue proposte vanno da un riequilibrio tra debito e Pil alla ricapitalizzazione delle imprese sino alla esigenza di riportare in Italia i patrimoni tenuti all’estero eventualmente anche grazie a uno scudo penale e al ritorno in Italia di quelle aziende che hanno delocalizzato la propria sede legale in altri Paesi a fiscalità vantaggiosa. Lo scudo penale peraltro non è sinonimo di condono fiscale come ritiene il presidente Bonomi perché allora le trenta famiglie più ricche d’Italia che hanno grandi patrimoni all’estero sarebbero tutte evasori mentre così non è. Un insieme di proposte, dunque, quelle di Messina, non ultima quella di coinvolgere di fatto i fondi pensione che hanno 200 miliardi investiti anche sui mercati esteri, che dà il segno della complessità del futuro ma anche dell’esigenza di una chiamata generale per tutte le forze del Paese riecheggiando così un antico e smarrito sentimento nazionale.

Noi stessi abbiamo proposto una alleanza tra Stato e ricchezza nazionale con un contributo a fondo perduto compensato da un periodo di serenità fiscale per quanti liberamente accogliessero l’invito del governo garantendo comunque una crescita del proprio reddito e del proprio fatturato di almeno 1,5% all’anno. In tal modo si potrebbero dar corso a massicci investimenti con una spesa in conto capitale del 4-5% come negli anni 80 a fronte del 2-3% degli ultimi 25 anni. Diversamente come potrebbero essere fatti gli investimenti pubblici? Anch’essi tutti a debito? Non dimentichiamo che questo Paese ha tolto soldi ai pensionati che superavano i 5 mila euro al mese e bloccata la rivalutazione delle pensioni oltre tre volte i minimi. La ricchezza vera del Paese non dovrebbe anch’essa concorrere alla salvezza del Paese salvando peraltro anche se stessa? Siamo convinti che la nuova Confindustria saprà essere all’altezza della grave situazione dell’Italia, dell’Europa e del mondo offrendo proposte nell’interesse nazionale. Le stesse proposte di Tremonti e Bazoli vanno verso un indebitamento trentennale a basso tasso d’interesse ed esentasse che in qualche maniera prendono più il profilo di una ricapitalizzazione dello Stato che non quello di un nuovo debito. Riflettendoci ancora forse potrebbe essere aggiunta un’altra idea. Quelle imprese che dovessero riportare in Italia entro 12 mesi i propri stabilimenti in Italia potrebbero godere di una esenzione contributiva per la nuova occupazione per almeno cinque anni e una riduzione di 5 punti sulla tassazione dell’Ires.

L’obiettivo è di riportare in Italia il lavoro oltre che i quattrini e quindi una parte della produzione delocalizzata con annessa occupazione estremamente utile per i prossimi anni in cui la ripresa economica non avrà un rimbalzo verticale come quello del crollo ma sarà lenta perché lenta sarà la crescita della domanda. Come più volte abbiamo ricordato i nostri padri e nonni ebbero la capacità nel 1943, a guerra in corso, di preparare a Bretton Woods un nuovo ordine monetario che aiutò la crescita economica dell’Occidente e anche noi dovremmo essere all’altezza di quel coraggio e di quella visione senza impiccarci ciascuno alle proprie idee ma praticando sempre la saggezza del dubbio rispetto all’orgoglio delle presunte certezze.

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