Una condanna da ladro di polli e un altro che la sfangherà.

di Grazia Nonis. “Non mi conosci, sarò il tuo peggior nemico”, “Fottiti, anzi scusa fatti fottere”, “I tuoi cani sono morti. E stai attenta a metterti contro di me non mi conosci abbastanza”, “Tra sette giorni me la riderò, sei una brutta persona, e comunque la mia vendetta ci sarà.” Questi sono alcuni sms ricevuti da Laura, la ragazza finita in ospedale la primavera scorsa per le numerose coltellate assestatele dal suo ex. La solita storia di schizofrenia d’amore, delirio del possesso, insana gelosia e persecuzione nei confronti di una donna. Ingredienti che immancabilmente sfociano nel sangue, come in questo caso. Ebbene, il magistrato afferma che non ci sarebbero elementi che provino la pressione psicologica dell’imputato nei confronti della vittima.
Non è stalking. Non importa che Laura abbia riferito di essersi sentita molestata e spaventata dal suo ex che l’assillava con domande sul dove, quando e con chi lei si vedeva o sull’obbligo di indossare vestiti sobri se lui non era presente. Irrilevante anche il pedinamento di un investigatore privato che doveva seguire Laura e riferire all’uomo tutti i suoi spostamenti. E’ difficile per chi non ha provato un simile orrore, capire lo stato d’animo della vittima. Pressioni psicologiche come antipasto e squarci in testa come dessert serviti da chi pensavano di amare e che invece ha violentato la parola amore per far posto al possesso, donna uguale oggetto uguale proprietà. Per chi giudica si dovrebbe organizzare un reality con tanto di stanza del male, cambiando sceneggiatura di volta in volta e ricostruendo fedelmente la crudeltà che, attimo dopo attimo, ha provocato la violenza da condannare. Che si provi ad interpretare la vita delle tante Laura, Maria, Anna. Di noi Donne. Paura e angoscia sommati alla limitazione della libertà, perché di questo si tratta. Ce n’è voluto di tempo perché lo stalking divenisse reato, ma in questo particolare caso pare che i messaggi siano insufficienti a dimostrarlo. Probabilmente esiste una tabella “stalking” nella quale dover rientrare per quantità, lunghezza e numero di insulti. Coltello in mano e numerosi testimoni sono la prova provata di un tentato omicidio che dovrebbe chiudere l’uomo in cella senza se e senza ma. Questo dovrebbe essere l’ovvio, la normalità, la giustizia. Ma non qui, non in Italia. Tre mesi di carcere e poi a casa, ai domiciliari in attesa che termini il processo. Tranquilli, l’ex ha dichiarato che non cercherà più di avvicinarla, importunarla o contattarla. Laura “dovrebbe” dormire serena senza leggere, però, le pagine di cronaca che raccontano storie come la sua, di altre “perseguitate”, e che riportano fedelmente ciò che lei sta vivendo, comprese le promesse non mantenute di uomini che poi hanno sferrato l’attacco finale. “Non potevamo prevederlo”, “Sembrava sincero”, “Chi se l’aspettava”… diranno ai famigliari. Mentre lei giace lì, sul tavolo dell’obitorio. Mutilata e fredda. Per Laura, anche la perizia del medico legale in merito alle ferite subite minimizzerà il reato, dato che nessuna delle tante coltellate avrebbe potuto essere mortale. Non importa che uno dei tagli fosse vicino alla carotide che se ne frega se la buchi in punta di fioretto, con un temperino o un ferro da calza mentre il sangue scorre fuori dalla giugulare e la morte che arriva in dodici secondi. L’importante, sosterranno i difensori, che è lì, salva. E’ viva. Le pugnalate tra capo e collo sono piccoli graffi d’amore e non atroce e morbosa ossessione di un uomo per una donna. Banalizzare le ferite e non sommare lo stalking al reato di tentato omicidio diminuiranno notevolmente la pena. Una condanna da ladro di polli e un altro che la sfangherà. Facciamo posto al prossimo e a tutte quelle donne che sono e saranno vittime di un folle non amore. Troppe.

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