Servono riforme strutturali: la ricchezza sia al servizio dell’umanità e non la governi!

La fotografia dell’economia mondiale scattata dal Fondo Monetario Internazionale dipinge un quadro sostanzialmente positivo, con l’economia mondiale in netta ripresa e il Belpaese ultima ruota del carrozzone euro. Il rischio per l’Italia è quello della deflazione ovvero stipendi bassi, riduzione dei consumi e aziende che chiudono, delocalizzano e licenziano perché non sanno a chi vendere i loro prodotti.
Insomma, anche se non è ancora fuori dal tunnel, l’economia globale migliora, ma restano rischi al ribasso, fra i quali ”l’inflazione bassa nelle economie avanzate, in particolare nell’area euro”. L’eurozona sta voltando pagina, dalla recessione alla ripresa, anche se l’accelerazione della crescita sarà ”più modesta” nei paesi oggetto di stress finanziario come Grecia, Spagna, Cipro, Italia e Portogallo. 
Secondo l’Ocse, per la prima volta da metà 2011, il tasso di occupazione nell’area euro è tornato ad aumentare tra il secondo e il terzo trimestre 2013, salendo dello 0,1% al 63,5%. In Italia, invece, la percentuale di occupati tra la popolazione attiva ha continuato la sua discesa, cominciata a inizio 2012, passando dal 55,6% del secondo semestre 2013 al 55,4% del terzo.
Non vanno meglio le cose per chi, invece, un posto di lavoro ce l’ha. L’Italia è il Paese che ha conosciuto dal 2008 il declino più elevato della situazione sociale di chi lavora: oltre il 12% degli occupati non riesce a vivere del suo stipendio. Solo Romania e Grecia fanno peggio (oltre il 14%) ma la loro situazione era grave già nel 2008: lo afferma lo studio Ue sull’occupazione.
“Dal 2010 gli stipendi delle famiglie in Ue sono diminuiti, e i cali sono stati particolarmente profondi (oltre cinque punti percentuali in due anni) in Grecia, Spagna, Italia, Irlanda, Cipro e Portogallo”, si legge nel rapporto. In generale in Europa dal 2008 al 2012 il numero di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale è salito di 7,4 milioni, ovvero oggi è un quarto della popolazione europea (125 milioni) ad essere a rischio indigenza. E Italia, Grecia e Irlanda sono i Paesi dove la situazione si è deteriorata maggiormente, cioè hanno visto salire il numero delle persone in difficoltà di oltre cinque punti percentuali in quattro anni. Dato il quadro fosco della situazione sociale in Ue, la Commissione conclude che “nonostante i primi timidi segnali di ripresa economica, mercato del lavoro e situazione sociale restano una grande sfida e il carattere inclusivo della possibile ripresa è incerto”.
Inoltre, secondo recenti stime, la forbice tra ricchi e poveri nel mondo si allarga sempre di più. Pochi forse sanno, che gli 85 uomini più ricchi del pianeta detengono una ricchezza pari a quella di metà della popolazione mondiale. L’estrema disuguaglianza tra ricchi e poveri implica anche un progressivo indebolimento dei processi democratici a opera dei ceti più abbienti, che piegano la politica ai loro interessi a spese della stragrande maggioranza. In pratica, le elite economiche mondiali agiscono sulle classi dirigenti politiche per truccare le regole del gioco economico, erodendo il funzionamento delle istituzioni democratiche e generando un mondo in cui 85 super ricchi possiedono l’equivalente di quanto detenuto da metà della popolazione mondiale. 
Per Papa Francesco “non si può tollerare che migliaia di persone muoiano ogni giorno di fame, pur essendo disponibili ingenti quantità di cibo, che spesso vengono semplicemente sprecate“. Né, dice nel messaggio al Forum di Davos, “possono lasciare indifferenti i numerosi profughi” che “vanno incontro alla morte in viaggi disumani”. “Vi chiedo di fare in modo che la ricchezza sia al servizio dell’umanità e non la governi“. La “crescita in equità”, secondo Papa Francesco, “richiede decisioni, meccanismi e processi volti a una più equa distribuzione delle ricchezze, alla creazione di opportunità di lavoro e a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo“. Gli fa da eco il Fmi, che invita l’Europa a completare l’Unione bancaria e a rompere il legame fra debito sovrano e banche: ”Servono più riforme strutturali”.

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