‘Sei italiano, napoletano o siciliano?’. È più facile indignarsi che riflettere.

di Guido Occelli. È più facile gridare allo scandalo che soffermarsi a riflettere. Il caso di oggi è il diniego sulla presenza di alcune richieste di “requisiti” su alcuni moduli di accettazione a delle scuole inglesi, dove si chiede di sapere se un richiedente italiano fosse italiano in genere o italiano siciliano o italiano napoletano.
 Sicuramente la richiesta è singolare e lascerebbe spazio a innumerevoli strumentalizzazioni e perplessità. Molti sono sulle barricate per questo e per onor di Patria anche io mi sento molto imbarazzato, ma cerco di entrare nei panni di chi ha avuto il “coraggio sfacciato” di inserire questi tre distinguo nei moduli di accettazione (per altro già ritirati a seguito delle proteste dell’Ambasciatore italiano in UK). Forse gli inglesi perseguono le proprie ideologie (ancora radicate di colonialismo), o conoscono l’Italia meglio di noi. Chi mi conosce bene sa che sono un nazionalista convinto, ma non tutti sanno che sono anche un obbiettivo critico della realtà nazionale. Nel 2011 abbiamo festeggiato e glorificato (per espresso entusiastico volere del presidente emerito Napolitano) il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, a suo tempo avevo espresso, e lo ribadisco in questa circostanza, che l’Unità d’Italia, al di la del valore ideologico, è un esperimento fallito, perchè dopo 155 anni si è fatta l’Italia e non ancora gli italiani. Un po’ come l’Europa e non gli europei, intesi come un unico popolo, cosa impossibile e inopportuna secondo me.I grandi distinguo tra popoli in termini di valori, cultura, aspirazioni, necessità, mentalità e costumi ci portano a dividerci a diversi piani di posizioni, così come tra europei e al nostro interno, tra italiani. Sono emblematici gli storici distinguo tra fiorentini e livornesi, per non dire quelli tra pisani e fiorentini, e che dire tra romani e reatini e frusinati, ecc, ecc. Senza per altro stabilire chi sia meglio di altri, poi i fatti e le situazioni sociali, è ovvio che facciano la differenza alla luce del sole e non alla luce ideologica. A questo punto a qualche benpensante, buonista e perbenista, gli si sarà accesa la “lampadina” del razzismo, ma non intendo difendermi e/o replicare a tale stupidità. Chiedo a un veneto, trentino, lombardo, piemontese, valdostano, ligure se si sente italiano paritetico o distinto, se non addirittura contrario, in termini di valori, cultura, aspirazioni, necessità, mentalità e costumi a un campano e viceversa ovviamente. Stessa domanda a un calabrese, siciliano, marchigiano, o toscano (in questo periodo politicamente in auge come furono politicamente negli anni ’70 i meridionali), e così via. Ovvio che la domanda non ha scopi razziali, ma pragmatici e intenti a capire le ragioni che potrebbero aver mosso i relatori di qui moduli inglesi. È indubbio che le nostre capacità di relazione sono intrinsecamente vincolate da compatibilità culturali e chi dice il contrario è un ottusamente (o collusamente) illuso. I fautori della globalità tendono a non tener presente questo aspetto che è fondamentale. Gli scontri culturali che stiamo vivendo in questo periodo di mescolanze “razziali” è emblematico, e mi riferisco principalmente al fenomeno dell’immigrazione incontrollata, ma più che scontri, vorrei definirli “incontri sbagliati”, non equilibrati, non accettabili perchè privi di mediazione, vissuti come imposizione e non come integrazione. Se un popolo, una civiltà così distante da noi, dalle nostre realtà si sente in dovere di distinguerci tra italiani, napoletani, o siciliani, indigniamoci, ma poi chiediamoci il perchè.Chiediamoci se ciò non sia un nostro concorso di colpa. Viva l’Italia.

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