Renzi. Come si combatte davvero la povertà? Servono leggi, non slogan.

di Matteo Renzi. Con l’avvento del grillismo in Italia la povertà è diventata strumento di consenso.
Proprio mentre gli economisti alla Esther Duflo vincevano il Premio Nobel spiegando come la lotta contro la povertà richiedesse sforzi educativi, sanitari, culturali, i populisti nostrani inauguravano una stagione in cui la lotta alla povertà andava annunciata, non combattuta, andava fatta con gli slogan e non con la politica.

C’è un filo rosso tra il Luigi Di Maio che, attorniato dai colleghi grillini, annuncia dalla terrazza di Palazzo Chigi “abbiamo abolito la povertà” e il Giuseppe Conte che, attorniato dai colleghi del campo largo, spiega in Sala Verde che il disegno di legge sul salario minimo è lo strumento risolutivo per contrastare la povertà.

Tra il Di Maio del terrazzo e il Conte della Sala Verde ci sono due piani di distanza fisica e cinque anni di distanza temporale. Ma il ragionamento è identico.
Guardate le accuse populiste di chi mi dice: non sei andato all’incontro sul salario minimo perché a te dei poveri non interessa.
Chi fa proposte irrealizzabili non si interessa dei poveri: li strumentalizza.
Chi scrive una legge come quella sul reddito di cittadinanza, vera manna per i truffatori e per chi vive di voto di scambio, non si interessa dei poveri: li strumentalizza.
Chi l’11 agosto fa passerelle sui TG ma poi rimanda la palla al CNEL, cioè all’organismo più inutile della storia, non si interessa dei poveri: li strumentalizza.
Chi firma una proposta di legge in cui il salario minimo ha bisogno di un fondo pubblico pagato dal contribuente italiano, non si interessa dei poveri: li strumentalizza.

Combatte la povertà, invece, chi aumenta i salari abbassando le tasse sul lavoro. Perché gli altri comunque uno stipendio buono lo portano a casa e va aiutato il ceto medio a non scendere sotto la soglia della povertà.
Combatte la povertà chi chiede il Mes sanitario per abbattere le liste d’attesa. Perché gli altri comunque possono accedere alla sanità privata, sono i poveri che attendono mesi per i risultati di una biopsia.
Combatte la povertà chi crea le condizioni perché aumentino i posti di lavoro.
Aiutare le aziende ad assumere non significa sostenere “i padroni”, ma significa combattere la povertà. E per non avere stipendi da fame, la soluzione è detassare integralmente tutti i denari che vanno negli stipendi degli operai, degli impiegati, del ceto medio.

Combatte la povertà chi fa politica, non chi si accontenta di slogan. Il dibattito sul reddito di cittadinanza e il salario minimo è figlio dello stesso impianto culturale non a caso marchio di fabbrica dei Cinque Stelle.
Chi vuole combattere la povertà abbassa le tasse alle imprese, aumenta gli investimenti in cultura e sanità, chiude la stagione dei sussidi. In una parola: chi vuole combattere la povertà fa politica, non si limita agli slogan.

Fonte: https://www.ilriformista.it

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