La grande corsa dei rendimenti verso il crack.

di Mario Seminerio. Dopo che la Federal Reserve, a inizio settembre, ha “saltato un turno”, rinviando l’ennesimo rialzo dei tassi ufficiali pur manifestando una postura ancora aggressiva, alcuni commentatori si sono lasciati andare a inferenze piuttosto rassicuranti: restano vigili, hanno ribadito che i tassi resteranno elevati ancora a lungo ma alla fine non alzeranno oltre, perché hanno terminato.

UN’ASCESA VIRULENTA.

Da quel meeting della Fed, i mercati hanno iniziato a vendere l’obbligazionario con vigore vieppiù crescente, portando i rendimenti a nuovi massimi pluriennali. Di fronte a questi episodi, la stampa di tutto il mondo ha proseguito con la sua chiave di lettura inerziale: “timore per nuovi rialzi da parte della Fed”. Una spiegazione che, col trascorrere dei giorni, mostrava un certo logoramento.

Intanto, i flussi di vendita dell’obbligazionario si gonfiavano, con una particolarità: i rendimenti crescono più sulla parte a lunga scadenza che su quella a breve. È il cosiddetto bearish steepening, le cui motivazioni vanno indagate. Gli osservatori, colti di sorpresa, hanno iniziato a compulsare furiosamente il campionario delle razionalizzazioni. Aumenta il premio a termine. Sì, ma perché? Perché si teme che l’inflazione sfugga di mano? O altro? Qualcuno si è spinto a ipotizzare sbilanci nei flussi, del tipo “troppo deficit negli Stati Uniti, per giunta durante una fase di crescita”. I governi sono costretti a gettare sul mercato quantità crescenti di debito: basta lo sciopero dei compratori, ed ecco che arrivano i guai.

Come sempre, un paradigma di lettura vale sin quando smette di valere. E i mercati si muovono in branchi, spingendo le tendenze. È stata persino coniata una espressione, per questi fenomeni: “macro tourism“, riferito ai grandi fondi speculativi, che arrivano per ultimi su una tendenza e gettano su di essa il loro peso facendole prendere spesso una traiettoria esplosiva.

Sono trend follower, come si dice, ma anche trend maker, visto il loro peso. Cioè non sono neutrali rispetto al contesto, né sono dei passanti. Non si fanno grandi domande esistenziali, anche se sono tutti dotati di abili affabulatori, spesso con Ph.D, in grado di spiegare in modo elegante e convincente quello che è appena accaduto. D’altro canto, l’uomo è un animale razionalizzante ben prima di (non) essere razionale.

Non vi farò la lista delle preoccupazioni dei razionalizzatori: sono decisamente troppe. Spaziano dall’inflazione al deficit persistente ed elevato; o ai tassi giapponesi, che prima o poi ci scoppieranno in faccia spazzando via tutte le posizioni a leva del pianeta (spiegazione che sento da quando ero un giovane ragazzo di bottega, addetto ad assistere i gestori titolari). Poi ci sono le spiegazioni più immediate, quelle che servono sempre: la “soglia psicologica”. Cose del tipo: il decennale americano arriverà al 5%. Anzi no, al 7%, lo ha detto Jamie Dimon. E così via.

L’ANIMALE RAZIONALIZZANTE.

Poi ci sono le stagionalità: i mercati vanno male ad agosto e settembre. Il motivo? Boh, cercatelo voi. Ma a ottobre si riprendono, lo dicono le statistiche. Ma no, a ottobre si riprendono solo se i rendimenti non sono in aumento. Sì, però ricordare che ottobre è il mese di grandi crolli di borsa. E così via.

Tutto questo per dirvi che, ovviamente, non ho idea di dove andremo, per questa via e questo andamento di mercato. Con questo passo di rialzo dei rendimenti, prima o poi si romperà qualcosa: forse una grande posizione a leva, una gigantesca margin call, di quelle che fanno sentire tutti degli esperti che si lanciano in citazioni dei loro film e romanzi preferiti.

Qualche umanista prestato all’asset management sentenzierà che è la fine dei tempi, che il bieco sfruttamento dell’uomo sull’uomo porta a questi redde rationem. Nel frattempo, sui crolli, cercherà di accumulare posizioni tattiche per sfruttare il rimbalzo e la ripartenza, e nel frattempo magari scrivere qualche altro romanzo per le folle angosciate.

Quelli che sanno l’inglese, oltre a saperla lunga, chiamano questi movimenti overshooting. Altri aggiungono le citazioni di Hemingway: lentamente, poi improvvisamente. Sono tutte facce dello stesso poliedro: flussi. Imponenti, incoercibili flussi, in cerca di una spiegazione. Un po’ come le immortali immagini di Topolino apprendista stregone che guida le scope con i secchi.

Nel frattempo, con i rendimenti che crescono in questo modo così virulento, i credit spread (cioè il costo del nuovo debito) che si allargano, il dollaro che si apprezza, le condizioni finanziarie si stringono, come un cappio attorno al collo dell’economia statunitense. Un’economia che mostra grande resilienza, mentre scruta l’orizzonte della Fortezza Bastiani in attesa della recessione.

Che arriverà, e non potrebbe essere altrimenti, se questi rialzi dei rendimenti proseguiranno, magari sfociando in un crollo dell’azionario. Quelli bravi la chiamano capitolazione, prendete nota. Prima arriva e meglio è per il mondo reale, se volete la mia lettura degli avvenimenti.

MOMENTO TRUSS.

Ma veniamo alle cose di casa nostra: paese ad alto debito e crescita nulla, uguale spread e guai. Era fatale che accadesse, sono movimenti che tendono a non perdonare le leggerezze dei governi, e anche tutto quello che non è stato fatto per tempo. Nulla di inedito. È il “momento Liz Truss” dietro l’angolo. Colpa del governo Meloni, dunque? Sì e no. No, perché questi sono movimenti che travolgono tutto e tutti, e solo dopo si fanno domande. Sì, perché malgrado tutto, questa legge di bilancio è deviante rispetto allo Zeitgeist di mercato.

Come finirà? Non lo so, non scrivo sceneggiature né romanzi di successo. Diciamo che ho l’impressione che i mercati abbiano preso il comando delle operazioni e strappato il bastone alla Fed e alle banche centrali. Banche centrali che potrebbero anche essere soddisfatte di questa ulteriore vigorosa stretta delle condizioni finanziarie, che equivale ad altri impliciti aumenti dei tassi ufficiali. Ma, come detto, l’overshooting è dietro l’angolo, l’instabilità finanziaria pure.

Ricordate il precedente episodio, quello delle banche locali americane e delle loro massicce minusvalenze su obbligazioni, spazzate sotto il tappeto sin quando il tappeto non è finito loro in testa? Sapete che, da allora, la situazione non ha fatto che peggiorare? Tra quanto tempo un nuovo eclatante episodio di minaccia alla stabilità finanziaria si paleserà, e in quali forme specifiche?

Ve la dico tutta: non mi stupirei se, di questo passo di mercato, tra qualche giorno uno o più banchieri centrali se ne uscissero dicendo che la stretta monetaria ha raggiunto gli obiettivi. Missione compiuta. A quel punto, violenti dietrofront dei mercati, chi era corto si ricopre, la volatilità esplode, e vissero tutti felici e contenti. Dopo. Oppure prima passeremo da un crollo azionario, il cui shock restrittivo sull’economia reale verrà battezzato come restrizione sufficiente. Dopo tutto, è ottobre. Il mese in cui i mercati crollano ma anche crescono.

Narra la leggenda che un giovane, al cospetto del banchiere John Pierpoint Morgan, gli chiese una previsione sui mercati. “Giovanotto, credo che il mercato fluttuerà” fu la risposta, per definizione preveggente. Ecco, mettiamola così: ci attendono grandi fluttuazioni.


Fonte: https://phastidio.net

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