La fine della Repubblica nata dalla Resistenza.

di Gerardo Lisco. La vulgata comune individua nelle inchieste di “Mani pulite” la fine della Repubblica nata dalla Resistenza. Penso che i fatti vadano riletti e l’arco di tempo che va dalle inchieste giudiziarie di “Mani pulite” fino all’incarico di formare il Governo a Mario Monti sia da considerare la lunga transizione politica italiana che segna, con il Governo Renzi, la fine della cultura politica che ha caratterizzato il sistema politico italiano nato dalla Resistenza.
A partire dagli anni ‘90 il sistema politico italiano si è caratterizzato per la scomposizione e ricomposizione del quadro politico; la riaggregazione delle aree politiche è avvenuta secondo la linea del far parte o meno dei partiti politici riconducibili all’”Arco Costituzionale” che, per chi l’avesse dimenticato, racchiudeva tutti i partiti firmatari del Patto Costituzionale. La contrapposizione centrosinistra/centrodestra è scaturita dall’essere o meno per il mantenimento dei principi sanciti nella Costituzione del ‘47. Il centrosinistra nella molteplicità delle sue espressioni era sostanzialmente riconducibile al: PSI, PCI, DC, PRI, PSDI, PLI. Il centrodestra con lo sdoganamento dell’elettorato fascista che si riconosceva nel MSI – DN e la nascita di Forza Italia e Lega Nord si presentava come l’espressione di culture politiche alternative al modello rappresentato dalla Costituzione. Non è un caso che la difesa della Costituzione è stata la battaglia per eccellenza condotta da forze e movimenti politici che si riconoscevano in quei valori. L’impianto costituzionale e la sua cultura politica non sono stati scalfiti nemmeno dalle varie modifiche al sistema elettorale e al Titolo V. Lo Stato italiano ha continuato ad essere una Repubblica Democratica e Parlamentare fondata sul lavoro. La contrapposizione tra centrosinistra e centrodestra, pro o contro la Costituzione, è venuta meno definitivamente con l’incarico dato a Monti di formare il Governo. Da quel momento, con il ruolo determinante avuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il sistema politico ha assunto un’altra fisionomia, da Repubblica Parlamentare è diventata una Repubblica semipresidenziale. Lo Stato italiano non è più una Repubblica Democratica fondata sul lavoro. L’ha spuntata la Fornero: il lavoro non è più un diritto ma un dovere. La riforma del sistema politico italiano, nello specifico della Costituzione, non riguarda solo il sistema elettorale, le competenze delle Regioni, il bicameralismo, la sovranità in materia di bilancio pubblico; ma investe tutta una serie di materie che sono chiaramente in contrasto con i principi fissati nella Prima parte della Carta Costituzionale. Penso ad esempio al Jobs Act, all’abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti, alla stretta relazione tra lavoro e retribuzione dignitosa come fattori funzionali alla partecipazione politica, al ruolo dei sindacati e dei partiti politici, alla progressione dell’imposta tributaria ed altro ancora. Le riforme che il Governo Renzi sta portando a compimento trasformano il sistema politico italiano da Democratico in Liberale; da un sistema politico in cui la Democrazia è esercitata attraverso i corpi sociali intermedi ad un sistema politico, quello Liberale, in cui, di fatto, conta il censo. Il confronto, di questi giorni, in Senato sulla riforma del sistema elettorale è il dato più emblematico: le argomentazioni adottate dalla minoranza del PD nel presentare i propri emendamenti hanno spesso chiamato in causa i valori costituzionali e il modo brutale con il quale gli emendamenti vengono respinti, sta a significare che ad essere respinti sono proprio i valori sanciti dalla Costituzione. Penso di poter affermare che in questi giorni stanno uccidendo la Prima Repubblica, quella nata dalla Resistenza, e questo delitto si sta consumando sotto gli occhi di cittadini distratti.

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