Immigrazione, ieri e oggi.

di Guido Occelli. Fiumi di parole, putridi stagni melmosi. Più che una triste realtà, mi sembra sempre più una scusa, uno strumento, un’opportunità per pochi. L’argomento è gradito a tutti, nel bene e nel male, ma la mia personale impressione è che la mancata soluzione del medesimo, non faccia comodo a nessuno. Ovviamente mi riferisco ai grandi statisti che occupano
le varie e prestigiose posizioni italiane ed europee. Mi riferisco alla questione “immigrazione”, volutamente scritto tra virgolette perchè, a mio giudizio, nulla ha a che fare con l’immigrazione vera e propria, ma a un disegno ben preciso di invasione e destabilizzazione di un sistema che potrebbe ambire ad altro se non dovesse affrontare questo fenomeno. Sento fiumi di parole autorevoli e non, esprimersi in merito al come affrontare il fenomeno, ma pochissimi spendersi razionalmente e non strumentalmente sulle ragioni dello stesso, per non parlare dell’assurdità di alcune pseudo soluzioni o rimedi per evitarlo o contenerlo. Provengo da una famiglia piemontese e mio padre era capo squadra delle manutenzioni alla Fiat Lingotto delle ferriere di Torino dagli ultimi anni 50, per poi trasferitosi a Roma come impiegato, il mio ex (defunto) suocero era beneventano, immigrato in Argentina, Venezuela, Usa, Belgio, per poi essere assunto in Fiat a Torino e poi trasferito a Roma nella stessa azienda. Posso dire di conoscere abbastanza bene, dai racconti dei due, la realtà e le ragioni di un fenomeno importante e diffuso che a suo tempo, segnò equilibri e opportunità dell’epoca, internazionali e locali in materia di accoglienza e immigrazione. Senza dilungarmi in ovvie descrizioni storiche e sociologiche, posso riassumere che all’epoca c’era un equilibrio tra domanda e offerta di carne umana, di braccia, di schiavi disposti a fare gli schiavi, di sfruttatori e sfruttati. Deprecabile, ma comunque un equilibrio. Un equilibrio di domanda e offerta, necessità dell’una o dell’altra parte, una necessità e una disponibilità, anche se condizionata da necessità. In equilibrio tra loro, senza arroganza da parte di chi chiedeva o voleva cogliere un’occasione regalata (a caro prezzo) dal momento storico. Si partiva con la valigia di cartone sapendo che si era in qualche modo richiesti, voluti, si partiva avendo opportunità, si era disposti a enormi sacrifici per un futuro migliore fatto di ritorno al proprio paese. Si partiva sapendo di trovare lavoro, perchè si sceglieva di andare dove c’era lavoro, duro, massacrante, infame e spesso mortale.Si partiva a proprie spese facendo viaggi massacranti e a volte mortali. Ma ribadisco che c’era una domanda e un’offerta, offerta sanguinaria e dolorosa che non dava spazio alle pretese o all’arroganza delle proprie aspettative ben al di sopra della realtà, concetti ben chiari a chi attraversava il mondo in lungo e in largo per emigrare per le più ovvie ragioni. In tutto ciò segnalo che all’epoca le masse in movimento (milioni di anime) a queste condizioni, erano prevalentemente europee e non africane. Dai racconti dei mie avi sono passati più di 50 anni e il fenomeno è esploso drammaticamente nella più totale confusione e strumentalizzazione possibile, di questi ultimi anni. Non so quanti di voi vorrebbero leggere l’ovvio sulle differenze tra “l’immigrazione” di oggi con quanto già esposto, ma credo sia talmente scontato che non vorrei tediarvi, anche se potrei scriverci un libro fatto di testimonianze reali e non ideologiche o strumentali. Concludendo vorrei solo portare l’attenzione fuori da tante chicchere: la grande immigrazione del dopo guerra è stata contraddistinta e condizionata da una forte offerta di opportunità, un boom industriale mondiale, un messaggio che ha attraversato le Alpi e gli oceani e molti hanno raccolto la sfida, hanno chiesto il permesso di essere accolti, sono stati accettati, ci hanno provato, hanno accettato le regole del “gioco”, e qualora non siano riusciti nell’intento, hanno rinunciato, o sono stati costretti a rinunciare per incompatibilità, e sono stati estromessi dal sistema. Oggi subiamo l’arroganza di chi pretende di invaderci, pretende accoglienza, pretende diritti, pretende mantenimento, pretende protezione e affetto, pretende l’accettazione culturale e sociale. Pretende con violenza e arroganza. Il dramma è che riesce ad ottenerlo e a far sapere ai propri compaesani che qui da noi si può.

You may also like...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *