Immigrazione, denatalità e tasse: finiremo anche noi come l’Impero Romano?

di Clemente Sparaco. Quando si cerca un precedente storico dell’attuale emergenza immigratoria, ci si riferisce all’emigrazione italiana del ‘900.
Ma il paragone non regge, se non altro perché quella fu un’emigrazione, mentre oggi ci troviamo di fronte ad un fenomeno immigratorio di vasta portata, del tutto nuovo nell’Italia moderna e non riscontrabile neanche in quella medievale, se non in misura ridotta.
Per ritrovare un precedente dobbiamo, quindi, riferirci alla storia di Roma imperiale, all’epoca delle invasioni.
Questo perché alcune di quelle che sono passate alla storia come invasioni barbariche furono piuttosto migrazioni di interi popoli, convogliati all’interno dei confini dell’Impero per ripopolare vasti territori. Ai migranti si fece ricorso, in particolare, per reclutare nuove leve per l’esercito. Si concesse loro la cittadinanza, cosicché all’inizio del V° secolo abbiamo che l’esercito romano (che contava quasi mezzo milione di uomini) era per metà formato da immigrati di origine germanica.
Ma la barbarizzazione dell’esercito si rivelò un errore fatale, perché, anziché respingere gli invasori etnicamente affini, i soldati di etnia germanica si unirono a loro e, alla fine, marciarono su Roma, ponendo fine all’Impero.
L’hospitalitas fu, secondo un’accreditata tesi storiografica, l’istituto giuridico cui ricorsero i Romani per regolarizzare l’insediamento dei barbari, divenuti foederati. Esso era un vecchio istituto già in vigore a favore dei soldati che non avevano un luogo in cui alloggiare. I cittadini erano tenuti ad ospitarli temporaneamente, cedendo loro un terzo o due terzi della casa. Pertanto, i Romani cedettero due terzi delle rendite delle terre (o delle tasse) di una data regione in concessione alle popolazioni barbariche, applicando ai foederati, in quanto almeno formalmente soldati romani, le stesse leggi dello ius hospitii. Anzi, a differenza di quanto era avvenuto in precedenza con i soldati romani, le terre e le case furono cedute permanentemente.
Gli ospitati, in compenso, dichiaravano fedeltà all’imperatore e fornivano all’uopo appoggio militare. Riscontri se ne hanno nel Liber Constitutionum, una raccolta di leggi burgunda (si veda la Chronica Gallica ad annum 452) e nelle leggi visigote (lo attesta Filostorgio), nonché in documenti relativi ai mercenari di Odoacre in Italia (dopo il 476) e agli Ostrogoti di Teodorico (in questo caso fu però concesso solo un terzo delle terre).
La denatalità all’epoca della Roma imperiale. Già lo ius trium liberorum (diritto dei tre figli) dell’epoca di Augusto fu un tentativo normativo di contrastare la denatalità incoraggiando le nascite. Esso garantiva ai genitori particolari privilegi quali, ad esempio, agevolazioni per i padri nella carriera militare. Ma la denatalità divenne col tempo un fenomeno persistente e duraturo, al punto da configurare nei secoli tardo-imperiali un vero e proprio tracollo demografico. Roma, che aveva all’epoca di Augusto circa un milione di abitanti, ne contava solo qualche decina di migliaia nel Vo secolo.
Né andò meglio nelle campagne, dove molti villaggi furono abbandonati e interi territori restarono incolti. La denatalità ebbe conseguenze sull’economia devastanti, perché innescò una spirale di tasse insostenibili, di statalismo e immigrazione non governata. L’esosa fiscalità finì per vanificare anche i vari provvedimenti incentivanti la natalità (tra questi quelli che vietavano agli schiavi di praticare l’aborto e che li obbligavano a fare più figli).
Quali le cause di questo fenomeno? A causarlo furono non solo le guerre, le carestie e le epidemie, che causarono molti morti fra la popolazione in età fertile, ma anche una tendenza consolidata a limitare le nascite. Essa fu, a sua volta, conseguenza della corruzione e del successivo allentamento dei legami familiari tradizionali. Fu questo, molto probabilmente, ancor prima delle invasioni, il motivo della caduta dell’Impero romano (lo sostiene, in particolare, Michel De Jaeghere in Gli ultimi giorni. La fine dell’Impero romano d’Occidente, saggio del 2014, saggio che ha suscitato in Francia una discussione vivace, e non solo in ambito storiografico).
La tassazione nell’impero Romano. Anche la tassazione esosa si legò alla crisi demografica, nel senso che, per certi versi, ne fu una conseguenza, per altri, finì per alimentarla. Nelle campagne, infatti, i piccoli proprietari, non potendo farvi fronte, rifluirono verso le città vivendo di sussidi (e, quindi, di economia improduttiva) o finendo per ingrossare le fila della criminalità. A ruota seguirono la crisi del commercio e dell’artigianato. Fu così che gli introiti fiscali, anziché aumentare, diminuirono vertiginosamente (nell’ultimo secolo quasi il 90% in meno!). Un’intera classe di piccoli proprietari che con il loro lavoro zelante costituivano il nerbo della produttività e sostenevano gran parte del peso fiscale non c’era più. Al suo posto nullafacenti o delinquenti che si assiepavano nelle città. Contestualmente, vennero meno i presupposti culturali e morali della romanità, quella lealtà alle tradizioni dei padri e quella fedeltà alla parola data e alla patria, che l’avevano fatta grande.

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