I buoni pasto dei dipendenti pubblici, una delle risorse economiche di questa categoria di lavoratori già messa a dura prova dai morsi della crisi, sono ormai diventati di sempre più difficile spendibilità.
Tant’è che i più ingenui si chiedono ancora: ma perché lo Stato non paga i suoi dipendenti in denaro invece di utilizzare i ticket per la pausa pranzo di ogni giorno? Eppure per legge, supermercati, ristoranti, bar, e gastronomie, devono accettare i buoni pasto. Ma si sa come funziona in Italia il rispetto delle leggi, e così va da sé che ogni esercizio commerciale fa un pò come gli conviene e ciclicamente si ripresenta il solito problema dei buoni pasto, con alcuni supermercati – sempre più rari, costosi e irraggiungibili – che li accettano, altri che li rifiutano categoricamente, altri che li accettano solo per la metà dell’importo speso, altri ancora escludendo i prodotti in offerta, ecc, ecc. Ma da alcuni giorni le cose stanno cambiando in peggio. Da qualche tempo, infatti, i commercianti rifiutano i buoni pasto in toto o solo quelli di alcune società – vedi la ‘QUI! TICKET’ – come forma di pagamento, arrecando un forte danno economico al lavoratore dipendente. I motivi di tale rifiuto? I tempi per incassare i buoni pasto sono troppo lunghi e soprattutto le trattenute su di essi sono troppo alte e in questo periodo di crisi i commercianti dichiarano di non poterselo permettere. C’è anche chi, continuando ad accettare i buoni pasto come forma di pagamento applica sui prodotti dei rincari che non trovano giustificazione se non quella di rifarsi sui lavoratori pubblici delle inefficienze burocratiche e amministrative di chi gestisce il business dei buoni pasto! E noi da ingenuotti, torniamo a chiederci: ma perché lo Stato invece di mettere in piedi tutto ‘sto carrozzone non paga l’equivalente in denaro? Ai più smaliziati la risposta non mancherà di certo.
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