Governo Renzi inconcludente ed inefficace: lo dicono i numeri!

Prima gli 80 euro di cuneo fiscale, adesso il Tfr in busta paga, poi l’Articolo 18, la Legge elettorale, l’abolizione del Senato e delle Province… chiacchiere, fuffa.
Un esempio su tutti? L’abolizione delle Province. Il governo dice di averle abolite, ma poi si è votato giorni fa e si continuerà a votare in futuro per eleggere il “parlamento consiliare” di ciò che non dovrebbe esistere più! Ma la realtà è diversa. Infatti quelle che una volta si chiamavano Province e che il governo diceva di aver abolito, sono ancora lì con tutti i loro poteri intatti: hanno solo cambiato di nome e adesso si chiamano “Città Metropolitane”. Domenica scorsa si è votato per il rinnovo dei consigli provinciali di Milano, Genova, Bologna e Firenze e il 12 ottobre toccherà pure a Roma, Torino, Napoli e Bari. La differenza con il passato è che per la prima volta nella storia a votare non saranno i cittadini, ma gli amministratori locali. Una chiamata alle urne per pochi intimi, sindaci e consiglieri comunali dei Comuni della Provincia, e “listoni” dalle larghe intese per spartirsi le poltrone da Nord a Sud in camera caritatis, il più possibile lontano dai riflettori e dal controllo dell’opinione pubblica. Idem con patate per l’abolizione del Senato e dei senatori.
Per non parlare dei tagli agli stipendi dei dipendenti di Camera e Senato? D’ora in avanti, grazie al governo delle giovani marmotte, un barbiere guadagnerà appena 7.600 euro al mese, un segretario 8.800 al mese, un documentarista 12.700 al mese, uno stenografo 13.200 al mese e un consigliere parlamentare 18.400 euro al mese, cioè quanto il Presidente della Repubblica. Inutile dire che di fronte alla richiesta di così immani sacrifici si sono levati pianti, strepiti, grida, annunci di scioperi, diffide e ricorsi in tribunale. Bisogna capirli, poveretti: al giorno d’oggi come si fa a vivere con soli 18.400 euro al mese?
Questo è quanto. Tanto per dare contezza del riformismo e della rottamazione di Matteo Renzi.
Ma tornando ai “numeri”. Il fatto grave è che l’Italia chiuderà il 2014 ancora in recessione, con un Pil in calo dello 0,3% e che tornerà a crescere non si sa ancora bene, come e quando.
Ma il vincolo del 3% nel rapporto deficit/Pil imposto dall’Europa verrà comunque rispettato: in ballo c’è la poltrona di Palazo Chigi! 
Quindi, costi quel che costi, ancora lacrime e sangue per i soliti noti: per restare in Europa il governo dovrà chiedere ulteriori sacrifici agli italiani!
I numeri snocciolati dal ministro del Tesoro, nel Consiglio dei ministri in previsione della finanziaria di fine anno, sono numeri completamente diversi da quelli ben più ottimisti propagandati dal governo delle giovani marmotte in primavera. Numeri che rimandano il raggiungimento del pareggio di bilancio previsto dal Fiscal Compact, al 2017. Numeri che vanno a sommarsi ai nuovi dati Istat sulla disoccupazione, la povertà, la corruzione e l’evasione fiscale. Numeri in costante crescita, negativa s’intende! Numeri ai quali il governo delle giovani marmotte crede di far fronte con qualche battuta su D’Alema, la soppressione dell’Articolo 18, lo scippo del Tfr e la fregatura degli 80 euro di cuneo fiscale. E invece di attuare politiche economiche e fiscali più eque nei confronti dei soliti tartassati ed incisive contro chi evade ed elude il fisco sottraendo ogni anno allo Stato 91 miliardi di euro, di abbattere il costo del lavoro intervenendo seriamente sul cuneo fiscale, le giovani marmotte cosa fanno? Si preparano al raduno della Leopolda!
Povera Italia. Ma ancora più poveri gli italiani!

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