Gianfranco Rotondi. Meglio la casta. L’imbroglio dell’antipolitica.

“I barbari sono alle porte, dopo sarà inutile voltarsi indietro per concludere che era meglio la casta.” Così Gianfranco Rotondi, già ministro del governo Berlusconi, segretario nazionale della Democrazia Cristiana per le Autonomie e oggi presidente di Rivoluzione Cristiana, apostrofa in quarta di copertina del suo ultimo libro, “Meglio la casta”, il populismo2.0. Il libro smonta “l’imbroglio dell’antipolitica” e svela i retroscena della campagna che da circa un decennio criminalizza i parlamentari per scopi che un protagonista della politica rivela divulgando con linguaggio giornalistico particolari inediti e clamorosi.
Gli onorevoli passano più tempo nei salotti che al lavoro? Idiozie: sono pochi gli imprenditori che si mostrano volentieri in compagnia di politici, quasi quest’ultimi fossero appestati. E comunque il deputato non ha tanto tempo da perdere. «Come dichiara il deputato Pd Mino Taricco, coltivatore di kiwi e pere nel cuneese, fare il deputato è molto più faticoso che lavorare nei campi, se uno lo fa con serietà».
I parlamentari hanno stipendi faraonici? Ma neanche per idea. Rispetto a Francia, Germania e Inghilterra sono dei campioni di austerity, prendono anche la metà dei colleghi d’oltralpe.
E rinunciare all’autista? «Errore madornale», spiega, «l’onorevole al volante è pericoloso. Negli archivi c’è una discreta casistica di omicidi stradali compiuti da deputati».
I vitalizi sono uno scandalo? Eresia. Per Rotondi si tratta solo di una «retribuzione differita tesa a risarcire il parlamentare del danno professionale ricevuto dall’esercizio dei mandati». Ci sono casi, spiega, di dirigenti d’azienda che dopo l’avventura romana non sono più riusciti a reinserirsi nel mercato del lavoro.
Il parlamentare è corruttibile? Difficile dirlo, ormai conta talmente poco che nessuno prova a tentarlo. «Oggi a Natale l’onorevole riceve solo qualche decina di mail precotte da enti e umanità varia». Le bustarelle, peraltro, «sono mitologia».
E le donne? Neanche quelle. «Chi mai accetterebbe la corte di un parlamentare? Tempo fa un giornale realizzò un’inchiesta sul marito ideale: l’onorevole era in fondo alla classifica battuto perfino dagli elettricisti». Almeno loro, ci spiega, alla sera «sanno rilassarsi».
La politica è una professione. Assolutamente sì. Basta guardare al passato. Nessuno avrebbe mai accusato De Gasperi o Nenni di essere dei parassiti. Così come «nessuno avrebbe accusato un giudice di vivere grazie ai delitti dei delinquenti, o un medico di trarre lo stipendio dalle malattie del prossimo. (…) La politica era una professione considerata utile al pari e più delle altre».
Insomma, Rotondi smonta i luoghi comuni contro la casta e mostra l’irrilevanza economica delle questioni di cui la politica discute come se fossero determinanti: i barbieri della Camera, gli stipendi dei deputati, i rimborsi dei consiglieri regionali. Mentre il popolo si infiamma per tali questioni il parlamento viene inginocchiato dai poteri forti che fanno passare provvedimenti destinati a pesare come macigni: la privatizzazione della Banca d’Italia, le numerose privatizzazioni, le scelte economiche imposte dall’Europa con regolamenti in luogo dei trattati approvati dal parlamento. Tutto viene spiegato da Rotondi inserendo nel racconto aneddoti spesso divertenti e sempre inediti come può farlo solo un protagonista attento della politica italiana degli ultimi venti anni. “Quanto lavora un onorevole?” Si chiede Rotondi, ed è sempre lui a rispondere: “La furia antiparlamentare sta già nella domanda: ridurre la politica a un criterio quantitativo già mostra una incomprensione delle categorie della politica. Ma tant’è: sono dieci anni che la stampa italiana crocifigge il Parlamento col consenso di chi lo rappresenta, vedi la Boldrini che a forza di carezzare il pelo all’anticasta è divenuta una barzelletta. La domanda corretta è: dove lavora il parlamentare? La risposta è: ovunque, h 24, senza pause, feste, legittime sospensioni. Una sospensione me la ero concessa oggi, di un’ora, e ho trovato sette chiamate che mi ordinavano la stesura di questo pezzullo. Già, questo pezzo è lavoro parlamentare, come la cena che mi attende con una rappresentanza di onesti lavoratori che lo Stato tiene part time ormai da tempo immemore. È lavoro parlamentare la guida di notte nel collegio elettorale costata la vita a Gianni Panetta, a Buonanno e a tanti altri colleghi; è lavoro parlamentare lo studio delle norme scritte da altri colleghi e quasi mai esonerate dalla necessità di correzioni, aggiustamenti. È lavoro la cupezza della vita di partito, dei partiti di oggi, dove all’adrenalina dei congressi si è sostituita la naftalina delle frasi fatte ma la lotta politica è uguale sempre. È lavoro l’ascolto dei bisogni delle persone, le giornate in segreteria a consolare le afflizioni non potendo più offrire le soluzioni. È lavoro anzi tensione indescrivibile la fatica di nuotare negli equilibri sempre incerti e spesso proditori delle trame di partito. Quante ore dura tutto ciò? Ventiquattro, senza sconti, come sa chi condivide il letto con un eletto del popolo che ha sempre il cellulare connesso e la testa occupata. In un paese stroncato dalle leggi in cui l’esigenza è quella opposta, e cioè delegificare, credetemi: il parlamentare più produttivo è quello che non aggiunge niente alla selva di norme che già ci sono.“. L’analisi di Rotondi porta ad una conclusione: potrebbe esserci un disegno preciso dietro l’antipolitica. «Le dittature si instaurano sempre allo stesso modo: prima viene messa in crisi la fiducia del popolo nei suoi rappresentanti, poi viene esasperata un’emergenza, infine viene proposta una più efficace rappresentanza». Lo spettro dell’uomo forte. Perché in fin dei conti «se la mettiamo sul risparmio, la più efficace riduzione dei costi della politica fu effettuata da Mussolini abolendo il Parlamento».

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