Bombe d’aria ed esplosioni in mare: così il governo s’è piegato alle compagnie petrolifere.

di Stefania Elena Carnemolla. L’ambientalismo vissuto come fastidio, il bollare le manifestazioni di associazioni e cittadini come quelle di “tre o quattro comitatini” che “bloccano le ricerche di idrocarburi”: erano i tempi di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, sullo sfondo lo scandalo lucano di Tempa Rossa, il referendum sulle trivelle, le dimissioni della ministra Federica Guidi, scivolata su una storia d’amore e petrolio. Sconfitto al referendum, annunciando l’addio a Palazzo Chigi, Renzi ha ripercorso le tappe del suo governo, rivendicando, tra le cose fatte, la legge sui reati ambientali.
Una legge, ciò che non ha detto, che con un blitz ha favorito le compagnie petrolifere. Cos’è accaduto, in buona sostanza? Che l’airgun – un sistema ad aria compressa che, usato in mare per le ricerche di idrocarburi, risulta devastante per l’ambiente marino – in un primo momento, con altre tecniche esplosive, vietato grazie a un emendamento del Senato, è tornato in vita a Montecitorio. Diceva l’emendamento: “Chiunque, per le attività di ricerca e di ispezione dei fondali marini finalizzate alla coltivazione di idrocarburi, utilizza la tecnica dell’airgun, o altre tecniche esplosive è punito con la reclusione da uno a tre anni”. Un emendamento soppresso dalla Camera dei Deputati. Dietro il blitz c’è la mano della confindustriale Assomineraria preoccupata per lo stop al settore tanto da spingerla a intrecciare alleanze affinché il suo uso venisse reintegrato, cosa, quindi, accaduta, con tanto di annuncio ufficiale via notiziario – il 4/2015 – istituzionale. Con una confessione: “Anche il Governo ha espresso le remore sul divieto di utilizzo dell’airgun, definito infatti ‘anomalo’ dal Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e possibile causa di un ritorno alla contrapposizione tra ambiente e sviluppo”. Con quali risultati? Che la legge 68 del 22 maggio 2015 sui delitti contro l’ambiente non vieta, per volere del governo Renzi, l’utilizzo dell’airgun e di altre tecniche esplosive. Come funziona l’airgun? Il sistema genera un’onda acustica che riflessa dagli strati del sottosuolo ritorna in superficie dove è captata dagli idrofoni, con i dati raccolti che vengono quindi elaborati per la creazione di immagini degli strati rocciosi al di sotto del fondo del mare. Un sistema tuttavia dannoso, con il rumore prodotto, spiega Legambiente, centomila volte quello di un motore di un jet. Dannoso come le esplosioni in mare, con la fauna marina, ricorda ancora Legambiente, che per tale motivo riporta problemi di tipo fisiologico, comportamentale, percettivo, cronico ed indiretto, se non quando causandone il decesso. Né sono pertanto un caso spiaggiamenti di capodogli e delfini, salvo scoprire che nella zona o nelle sue vicinanze operavano compagnie petrolifere. In pericolo sono ora i delfini di Taranto, tanto da spingere l’associazione ambientalista Marevivo a lanciare una petizione su Change.org indirizzata a Renzi, nonché a Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia e ai sindaci dell’arco ionico. “Non temono l’ILVA ed i suoi veleni” così la petizione “vivono in libertà con i propri cuccioli, ma non potranno difendersi dalla nave, armata di cannoni ad aria (gli air gun), che presto esplorerà il Golfo di Taranto alla ricerca del petrolio”. Quel golfo, dove è ancora possibile avvistare delfini e balene, che un decreto presidenziale ha dichiarato “baia storica e naturale”. Ma a breve, in queste acque “a sole 13 miglia dalle coste, arriveranno gli air gun per fare ricerca e prospezione di idrocarburi” con i cannoni della nave che “non spareranno proiettili, ma bolle d’aria che, determinando onde sismiche, rappresentano il più grave pericolo per la fauna marina”. E l’accusa a Palazzo Chigi: “Ma c’è compatibilità ambientale’, ha decretato il Governo, dando via libera al progetto della società Schlumberger”.

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