Avanti Renzi! Dopo il loden e la provvidenza c’è bisogno di bulli!

da il Foglio.it. Negli anni sconclusionati e folli del proibizionismo all’italiana, fra immagini pop, parole sincopate e dette alla bell’e meglio, frenesia dell’acchiappo di donne bellocce, lenoni, corna, cucù e trionfo della cosmesi, possiamo almeno dire di non esserci mai annoiati. Con Monti, il latte cominciò a scendere alle ginocchia. Con Letta siamo alla condensa di noia, anche se quando difende la sedia ci dà dentro. 
La crisi non c’entra. Anzi, proprio la crisi dovrebbe spingere chi governa a un comportamento audace, a un approccio sfrontato, a usare un linguaggio sanguigno, comprensibile a tutti senza bisogno di mediazioni: la strada, persino il trivio, è più utile del bisbiglio accademico o delle invocazioni alla divina provvidenza. La Francia del ’68 non stava certo messa meglio dell’Italia di oggi. Ma quando chiesero al primo ministro Pompidou cosa pensasse De Gaulle della contestazione in atto, rispose: il Generale ha detto la riforma sì, il casino no. Il casino, lo scassamento di palle, no: popolare, efficace e per questo immortale. 
I capi di governo succedutisi in questi anni non hanno il registro della provocazione che semplifica e agita le acque, non è proprio nella loro natura. 
Con Monti siamo ritornati all’università ed è tutto dire: aria grigia, cappotti tirati fuori dalla naftalina, gonne sotto il ginocchio, interpretazioni e dispute su tabelle, grafici, numeri. I congiuntivi saranno pure tornati al loro posto, il ragionamento sarà stato quasi sempre aritmeticamente inoppugnabile, ma l’elocuzione è stata così lenta, il tono così compiaciuto da far chinare il capo al popolo e non certo per deferenza. Spolpati e all’abbiocco, è tutto dire. Il più pop di quella squadra di governo, un signore allampanato, alto come una pertica e con due grandi, simpatiche orecchie, che doveva sfoltire la giungla della spesa pubblica, non ha lasciato traccia del suo passaggio. Le parole, pensate e pesanti, o erano in inglese o neologismi. Non poteva durare il silenzio in aula magna: quando mai siamo stati più di tre mesi zitti e buoni a lasciar fare il manovratore. 
Letta non ha il loden ma magari sì, e moderni giacconi. Sembrava competente, molto anglofono, uomo di mondo. E’ cortese, ben educato, bene introdotto. E poi è giovane, ha tante camicie bianche, non sarà Obama per via di un certo pallore ma magari Blair sì, vuoi vedere che anche la sinistra italiana ne ha trovato uno tra pera e formaggio? Ebbene no, è il premier bimbominkia che tuitta pensierini, mette emoticon, lancia tiritere sulla stabilità come quei democristiani che negli anni Settanta avevano lo spauracchio del salto nel buio. L’anno decisivo è sempre quello che verrà, ora l’Expo 2015 sarà provvidenziale, salvifico. E ci mancava pure la storia che non si può far fallire il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea. Diciamocelo, c’è più che mai bisogno di bulli.
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ATTENTO MATTEO, FARE FLOP E’ FACILE. di Vittorio Feltri. Caro Matteo Renzi,non ho mai nascosto di nutrire simpatia per lei, non foss’altro perché nel centrosinistra non c’è nessuno meno a sinistra della sua riverita persona, che tuttavia mi irrita per la verde età: 39 anni sono davvero troppo pochi per uno come me che ne ha già compiuti 70. Cerchi (…) di capire: più s’invecchia e più si detestano i giovani. Invidia? No di certo. Il problema è un altro. I ragazzi, anche quelli cresciutelli, sono animati da eccessivo ottimismo e convinti di poter cambiare il mondo, non importa che poi non siano capaci di cambiare neppure se stessi. Ma questo è un altro discorso. 
Noi dai capelli bianchi, invece, abbiamo inanellato una serie di delusioni e siamo diventati pessimisti circa la possibilità di mutare le cose in meglio, pur con la certezza che nel peggio c’è qualche opportunità di progredire. Non solo. Abbiamo un timore: metti caso che un giovanotto abbia successo dove noi abbiamo fallito. Avremmo la prova che, nonostante l’esperienza di cui ci vantiamo, siamo stati e siamo assai più stupidi di lui. E ciò non ci garberebbe.
Ecco perché, simpatia a parte, guardiamo a lei con diffidenza e siamo combattuti fra due sentimenti contrastanti: da un canto saremmo lieti se fosse in grado di raddrizzare le gambe ai cani politici, dall’altro ci terrorizza l’ipotesi che un ragazzo di Firenze sia all’altezza di compiere un miracolo mai stato alla nostra portata.
Al di là di queste considerazioni senili – comunque non infondate – siamo sicuri, quasi al 100 per cento, che lei farà un buco nell’acqua a prescindere dal suo talento di affabulatore con l’attitudine al comando. 
Il motivo di questa tetra previsione è presto spiegato: l’Italia non è governabile oggi come non lo è stata ieri. Intanto perché è piena zeppa di italiani, di cui sono note le peculiarità, ma anche i difetti, che comprendono l’insofferenza alla disciplina e al lavoro di gruppo, come dicono gli allenatori di calcio. Inoltre perché il sistema istituzionale che ci siamo dati è stato studiato e costruito apposta per impedire a chiunque non dico di conquistare il potere – in effetti lo sta conquistando perfino lei – ma di esercitarlo.
Tutti affermano con orgoglio che la nostra Costituzione è la più bella del globo. È vero. La Carta è bellissima, ma utile soltanto a rendere progressiva la paralisi della macchina statale. Il premier ha un ruolo marginale: primus inter pares. Non è nemmeno abilitato a scegliersi ed eventualmente a licenziare i ministri. Deve coordinarsi con il presidente della Repubblica anche solo per spostare una scrivania.
(…) Ancora. I programmi di governo sono sempre assai articolati, direi esaustivi, espressi in un linguaggio astruso e riempiono di parole centinaia di pagine. Anche questi, bellissimi quanto la Costituzione, ma praticamente irrealizzabili perché tra il dire e il fare ci sono di mezzo le beghe nei, e fra, partiti, nelle, e fra, coalizioni. Senza contare interessi personali e di categoria spesso in conflitto con quelli generali. Ne derivano estenuanti trattative che si protraggono per mesi, talvolta anni.
(…) Non bastasse ciò, l’intera attività dei politici si traduce in atti che, per poter entrare in vigore, devono essere scritti dalla mastodontica burocrazia ministeriale, paragonabile alle antiche caste sacerdotali depositarie del verbo. Sono loro, i dirigenti statali, che vergano le norme badando a trovare prima l’inganno, poi a confezionare il testo definitivo redatto in modo che richieda di essere interpretato e, quindi, adattato a seconda delle circostanze e delle convenienze di questo e di quell’altro personaggio o azienda o potentato, banche per esempio.I governi passano presto, mentre i burocrati rimangono e seguitano a gestire il vero potere, anche perché la maggioranza dei politici, governanti inclusi, non capisce nulla della complessa organizzazione statale.
Caro Renzi, questa è la situazione nella quale si troverà presto, suppongo, immerso. Come farà a destreggiarsi in un simile ginepraio?
L’unico che riuscì a domare la Bestia fu Mussolini. Il quale all’inizio si piegò alla logica dei partiti, poi, pur essendo giovane quanto lei, li delegittimò e istituì una dittatura con se stesso al vertice. Non crediamo sia questa la strada che lei intende percorrere, ammesso e non concesso che le sia permesso imboccarla. Pertanto sappia a cosa va incontro.
Lo stesso Craxi, che invocava la riforma istituzionale, essendosi accorto che non c’era verso di rintracciare un bottone nella stanza dei bottoni, si arrese e non varò mai il piano Bozzi che semplificava la vita pubblica, assegnando all’esecutivo poteri forti sul serio. Bettino è passato alla storia per il Concordato e l’abolizione della scala mobile, e non cito Sigonella perché fu una porcata apprezzata solo dalla sinistra. Questo per dire che lei si accinge a infilare la mano in un nido di vipere nel quale anche Silvio Berlusconi è stato morso. Il Cavaliere voleva fare tanto ma ha potuto fare poco e ci ha pure lasciato qualche penna. Giovanotto avvisato, mezzo salvato. Va incontro al plotone di esecuzione a petto nudo? Si ripari, figliolo. Dall’altare alla polvere non c’è molta distanza. Abbia cura di sé. Parola di vecchio. Per concludere, non è bello essere il terzo presidente del Consiglio consecutivo extraparlamentare. Non porta buono, oltre a essere male augurante.
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Poveri Diavoli. di Massimo Gramellini. Oggi la direzione del Pd dovrà decidere se sfiduciare il suo premier o il suo segretario. Non è che l’ultima di una serie di scelte impossibili e tendenzialmente suicide a cui i democratici vengono sottoposti fin dalla più tenera età. Quando un cretino chiede a un bambino se vuole più bene alla mamma o al papà, e lui anziché fargli la pipì addosso lo guarda con gli occhi di Franceschini, ecco, siamo in presenza di un bambino democratico. Da lì in avanti la sua vita sarà un tormento continuo.
Alle elezioni locali: andare a votare il candidato di un altro partito polemicamente alleato e potenzialmente infido oppure restare a casa per decenza, ma con il ricatto morale che così si fa il gioco di Berlusconi.
Alle primarie: puntare su Bersani per accorgersi soltanto dopo che il cavallo vincente era Renzi.
Allora puntare su Renzi per andare finalmente al governosottovalutando che nel frattempo al governo c’era già arrivato Letta.
Al Quirinale: farsi piacere Marini perché gradito ai berluschi o Rodotà perché gradito ai grillini, finendo con l’impallinare Prodi e riprendersi Napolitano.
Un bivio esistenziale dopo l’altro, i seguaci del Pd sono ormai prossimi all’esaurimento nervoso. Ne conosco uno che, quando a tavola gli chiedono se preferisca la pasta in bianco oppure al sugo, solleva la forchetta in segno di resa e si mette a piangere. Alla vigilia dell’ennesima decisione suprema, vorrei inviare ai dirigenti democratici un messaggio di serenità. Non vale la pena che si preoccupino. Tanto, qualunque scelta faranno, risulterà poi essere quella sbagliata.

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