Senza piano B.

di Luca Anedda. La presa di Avdiivka da parte dei Russi ha rappresentato come uno spartiacque tra un prima ed un dopo che ha mandato in pesante confusione i leader occidentali.
Non tanto per l’importanza di questa piccola cittadella fortificata che ora come molti altri luoghi in Ucraina ha assunto le connotazioni cimiteriali di una città fantasma, ma perché, dopo di essa sono avvenuti una serie di fatti ed eventi tutti piuttosto importanti e rilevanti.
Il primo è che l’Ucraina si trova in uno stato di estrema difficoltà; il morale delle truppe al fronte è davvero molto basso, il numero delle vittime molto elevato e l’impossibilità di ruotare le truppe che da due anni combattono, rende la condizione dei soldati al fronte davvero penosa. Ci sono state numerose manifestazioni a Kiev di mogli, mamme e familiari che protestavano vivacemente contro questo stato di cose. Ma la mancanza di risorse umane unitamente alla indecisione della politica di Kiev sul varo della legge per il reclutamento di nuovi soldati, fa si che questa situazione sia destinata a non mutare per ancora molto tempo.
Le fortificazioni che gli Ucraini stanno costruendo cercando di emulare la linea difensiva russa va molto a rilento, sia perché mancano i mezzi ed i materiali per costruirla sia ancora una volta per la mancanza di manodopera. Il New York Times le definisce:” sparse, rudimentali ed insufficienti”. Le fortificazioni difensive russe costruite nel 2023 e chiamate “Surovikin Line”, comprendono dalle 500 alle 1000 mine per chilometro, denti di drago posti ad una distanza di 1,5 metri l’uno dall’altro, che impediscono il passaggio di carri armati o altri veicoli cingolati o ruotati a meno di interventi specifici del genio per aprire varchi idonei. Sempre il quotidiano americano ha calcolato che, agli attuali ritmi, agli Ucraini occorrerebbero sei anni per costruire qualche cosa di simile.


La situazione sembra precipitare e le previsioni più fosche danno come possibile un costante “rosicchiamento” di territori da parte dei russi che potrebbero inglobare ulteriori quattro Oblast oltre agli attuali Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporizhzhia.
Anche coloro che fino a pochi giorni fa andavano sostenendo che la vittoria Ucraina era solo una questione di tempo si sono resi conto che tale retorica non è più sostenibile contro l’evidenza dei fatti e questo ha creato una sorta di corto circuito nella leadership politica occidentale: in Europa ed in America bisogna dunque fare i conti con la sconfitta di tutta la linea politica e militare fin qui sostenuta.
La improvvisa sostituzione di Victoria Nuland come vice di Antony Blinken agli esteri ha dato il via ad una serie di ipotesi sul perché di tale cambio e del perché sia stato fatto ora. La Nuland, o Toria come viene chiamata dagli amici, ha origini ebreo-russe ed è una profonda conoscitrice del Medio Oriente. Sua la frase:” Assad must go”. Così come sua fu la regia del 2014 a Kiev. Molti le attribuiscono la teoria secondo la quale la vittoria in Ucraina avrebbe potuto essere la testa di ariete per detronizzare Putin e dunque ridurre ai minimi termini la Russia nel suo complesso. Nulla di tutto ciò si è verificato: Assad è ancora al potere, la guerra in Ucraina sembra perduta e Putin vola verso la rielezione con un indiscutibile consenso popolare anche proprio per la guerra in Ucraina.
Questo cambio prelude ad un cambio di strategia? È un segnale per dimostrare l’inizio di un nuovo percorso?
Anche la sostituzione di Valery Zaluzhny, Capo delle forze armate ucraine e amatissimo dai suoi soldati, apre alcuni interrogativi. Alcuni sondaggi lo darebbero vincente su Zelensky se nei prossimi mesi si tenessero le elezioni in Ucraina. AnalisiDifesa riporta che al primo turno il Generale vincerebbe con il 41% dei consensi contro il 23,7% di Zelensky. Al secondo turno finirebbe con un 67,5% contro il 32,5% dell’attuale Presidente. Si capisce come Zelensky non sia incline a fissare una data per le elezioni che sono scadute ormai da un anno.
Ma anche l’assegnazione del nuovo incarico a Zaluzhny, come ambasciatore a Londra, secondo alcuni osservatori potrebbe indicare la precisa volontà del Generale di separarsi momentaneamente dal destino catastrofico a cui l’Ucraina si sta preparando nei prossimi mesi, per poi rientrare una volta che Zelensky fosse uscito di scena.


Più o meno in contemporanea a questi fatti sono arrivate le pesanti parole di Macron circa la possibilità di un invio di soldati Nato in Ucraina. Bisogna dire che questa idea del Presidente francese è stata subito contrastata da tutte le cancellerie europee fatta eccezione dei soliti paesi baltici, Lituania, Estonia, Lettonia, che, anche se rappresentano uno zero virgola dell’Unione Europea e della Nato, stanno incredibilmente condizionando molte delle politiche comunitarie e della Nato stessa.
Questa situazione ancora una volta segna uno stato confusionale della nostra leadership che sembra muoversi in ordine sparso e senza soppesare appieno le conseguenze di certe dichiarazioni. Ma perché Macron si è spinto a tanto? La popolarità di Macron in Francia è ai minimi termini, e dunque recuperare una scena di primo piano in Europa gioverebbe anche alla sua immagine interna. Inoltre, la situazione in Africa vede la Francia perdere costantemente terreno ed influenza. Le ultime vicende in Niger sono state catastrofiche per Macron e la cacciata di tutte le truppe francesi dal territorio ancora pesa. Se a questo si aggiunge che invece l’influenza Russa è aumentata esponenzialmente, il quadro si completa in maniera abbastanza chiara.


Ma Macron nell’affermare la sua posizione a favore dell’invio di truppe in Ucraina per combattere direttamente la Russia, ha dimenticato due cose fondamentali.
La prima ce l’ha ricordata oggi (8 marzo) un articolo sulla Stampa a firma di Ugo Leo e dal titolo: “Così gli Usa scongiurarono un potenziale attacco nucleare russo in Ucraina”. Verso la fine del 2022 vi furono tutta una serie di colloqui a vari livelli (tra capi di Stato maggiore e tra direttore della CIA Bill Burns e Sergey Naryshkin, il capo dei servizi segreti russi), per scongiurare da parte russa l’uso di armi nucleari tattiche. Era chiaro ai vari consiglieri militari, analisti e coloro che attentamente seguivano le vicende sul campo, che poiché le cose stavano andando davvero male per i Russi, sarebbe stata possibile una reazione nucleare se messi nella condizione di non avere più nulla da perdere. Certo ricorderete come nei nostri dibattiti televisivi, Professori e analiste nonché giornalisti di rango derubricavano tale possibilità come ridicola e la bollavano come fandonia messa in giro ad arte dai “Putiniani” (si dice sempre così quando si è a corto di argomentazioni), per spaventare l’opinione pubblica e sottrarre consensi alla causa ucraina. In realtà la questione è seria ed è per questo che, poiché per la Russia questa è una questione esistenziale, essa non potrà mai soccombere sul campo di battaglia.
Quindi Macron questo dovrebbe averlo ben chiaro: uno scontro diretto tra truppe Occidentali e Russe avrebbe conseguenze inimmaginabili.
La seconda cosa è che, vi lascio immaginare la reazione popolare di fronte all’invio di soldati italiani, tedeschi, spagnoli, portoghesi al fronte in Ucraina. Non credo ci sia nessun politico oggi che potrebbe sostenere un tale impatto negativo dell’opinione pubblica, che avrebbe immediate ripercussioni devastanti sulla sua vita politica.
Dunque, perché farle queste affermazioni? Forse perché gli Stati Uniti hanno già deciso di ritirarsi senza troppo rumore dalla questione Ucraina lasciando i cocci in Europa? Dopotutto i “neocons” sono specialisti nel perdere le guerre, da cui comunque traggono degli indubbi vantaggi.
Ma le ultime dichiarazioni della Von der Leyen, e di altri leader europei e americani non sembrano andare nella direzione di una soluzione diplomatica. La narrativa che si racconta è ancora quella che con il sostegno economico e militare l’Ucraina vincerà. Ma come si sa, per far virare una superpetroliera occorre molto spazio e molto tempo.
Cosa rimarrà dunque sul terreno? L’opzione diplomatica.

Non ce ne sono altre.
A questo punto anche l’occidente non può perdere la faccia. Sarebbe troppo pericoloso per tutta una serie di fattori.
Quindi bisognerà imbastire una nuova rappresentazione della storia, della realtà, che conduca alle trattative. Ci sarà Putin? È probabile. Ci sarà Biden? Forse no. Ci sarà Zelensky? E molto probabile che lui sarà il primo a saltare come un tappo di una bottiglia di Champagne, che coloro ai quali sarà affidata la ricostruzione dell’Ucraina stapperanno per brindare agli affari.
Ma l’importante è che a questo punto la macchina diplomatica si metta in moto. Si è già perso troppo tempo.

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