In Italia se non cambia ‘il manico’ la scopa non ramazza.

Una mattina, qualunque, davanti ai tornelli di un Dicastero romano: gli impiegati prendono regolarmente servizio timbrando il cartellino alle ore 08.00, chi sgarra di un solo secondo deve recuperare il ritardo; il dirigente di quegli stessi impiegati, invece, prende servizio intorno alle 10.00, ma per lui nessun ritardo da recuperare!
Un impiegato a fine mese porta a casa 1.200 euro, il suo dirigente almeno tre volte tanto. L’impiegato a fine anno riceve dal suo dirigente la cosiddetta “pagella”. Il suo dirigente “autocertifica” gli obiettivi raggiunti. Risultato, l’impiegato “più meritevole”, a discrezione insindacabile del Capo ufficio, a fine anno percepisce un premio pari, grosso modo, ad un centinaio di euro. Il dirigente, che si è “auto-valutato”, ne porta a casa qualche migliaio. A questo punto, la domanda sorge spontanea, come può funzionare quell’Ufficio? La domanda, ovviamente, è retorica, ma se si pensa che questo andazzo si è esteso a macchia d’olio in tutti gli Uffici della Pa, si spiegano i tanti “perché” di uno Stato inefficiente e inefficace! Inutile nascondere la testa sotto la sabbia: l’origine di tutti quanti i mali che affliggono l’Italia è imputabile, ad eccezione di qualche rara eccezione che purtroppo conferma la regola, ad una classe dirigente impreparata ad amministrare la cosa pubblica e a dirigere un pubblico ufficio. E anche qualora ci fossero delle mosche bianche, ovvero dei dirigenti capaci e competenti, il più delle volte queste rarissime virtù non vengono messe al servizio della collettività, ma impiegate a proprio ed esclusivo vantaggio. Le ragioni di tutto ciò risiedono, in primo luogo, nell’assoluta mancanza di seri criteri di valutazione della classe dirigente, per cui chi ‘comanda’ arriva fino ai massimi vertici della carriera non per merito, ma per forza d’inerzia e con qualche ‘spintarella’. In secondo luogo, se la pubblica amministrazione ‘non funziona’ come dovrebbe, è anche per il fatto, gravissimo, che si è creata nel corso degli anni un’insana frattura tra dirigenti ed impiegati. Un divario che non è soltanto di natura contrattuale, per cui un dirigente pubblico arriva a percepire una busta paga pari a tre, quattro volte quella di un suo dipendente, che di fatto gli manda avanti le pratiche, ma anche di presenza fisica sul posto di lavoro. Infatti, i dirigenti, che fanno parte a sé stante, non hanno l’obbligo di timbrare il cartellino, per cui entrano ed escono – quando, se e come entrano!!! – dal posto di lavoro come gli pare e piace. Per contro i loro dipendenti sono costretti dai ‘tornelli’ a rispettare rigorosamente l’orario di servizio dal primo all’ultimo secondo, com’è giusto che sia, anche se la regola non vale per tutti e soprattutto per i dirigenti! Quindi, in tutta la Pa, assistiamo al paradosso di un esercito di pubblici dipendenti sempre incollati alla scrivania, ma abbandonati al loro destino, senza la puntuale e costante presenza fisica di chi è invece lautamente pagato per dettare le linee guida del lavoro, dirigere, controllare ed efficientare il servizio pubblico! Insomma, è la solita storia: “il pesce puzza sempre dalla testa” e lo si sa perfettamente che quando “il gatto non c’è i topi ballano”! Un esempio? Si guardi ad un ospedale, laddove un primario, non avendo nessun obbligo di timbrare il cartellino, è presente solo per visitare o per operare i ‘suoi’ pazienti e poi se ne sta in clinica privata a farsi i fatti suoi, disinteressandosi totalmente dell’andamento del reparto del quale è il diretto responsabile, un reparto fatto di pazienti, medici e infermieri… Come volete che funzioni quel reparto che deve far affidamento soltanto sulla buona volontà di qualche singolo volenteroso? Non sono tutti così i nostri dirigenti, per carità di Dio, ma diciamo che l’andazzo, più o meno, è questo qua… ovunque!

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