“Chiedi scusa al Prof! Chiedi scusa… che poi a casa facciamo i conti”.

di Grazia Nonis. Mi sembra di tornare indietro nel tempo. Quando i Ricchi, dall’alto della loro posizione sociale, additavano i Poveri come brutti sporchi, cattivi, ma soprattutto ignoranti.

Il Ceto Medio esisteva, ma non aveva ancora un nome e chi vi apparteneva, se sapeva vendersi bene, passava di diritto tra quelli del secondo gruppo. Qualche “CM” invece sceglieva il secondo, per non mischiarsi con quelli che “cagavano più del culo”. Scusate la volgarità, ma riporto uno modo di dire di allora, che rende molto bene l’idea. La lettera “P” del “povero” era trasparente, come il filo usato per cucire quella lettera sul taschino del suo grembiule. La lettera “R” non aveva bisogno di ago e filo: era nascosta nel naso all’insù, ben arricciato e snob, pronto a fiutare i “P”, e a tenerli alla larga – al Signor Serra, non lo devo nemmeno spiegare, lui l’ha acquisito per diritto di nascita – Ma i “P” e i “R”, che io ricordi, non si comportavano come i delinquenti scolastici di oggi. Seguivano tutti una regola non scritta, un iter morale che ammetteva la vivacità, il gioco, la presa in giro, senza mai superare quel limite invalicabile che avrebbe trasformato il maleducato in mascalzone. Ai “R” piaceva ferire in punta di lingua, schernire, senza alzare le mani per non sporcarsi. Ah, quanto erano bravi, dei veri maestri… Ma umiliare e pugnalare con le parole, a quel tempo, non era considerato bullismo, per un semplice motivo: il termine ancora non esisteva. Ma i “P” soffrivano, eccome se soffrivano, mentre fingevano che a loro non importasse niente. Abili attori di sopravvivenza, i “P” si stampavano in faccia un sorriso beffardo, e una grossa corazza bugiarda sulla schiena, per mascherare l’amarezza ed il senso d’inferiorità che veniva loro sputato addosso. La povertà ed il malessere che si trascinavano dietro, a volte si trasformava in baruffa, sfida di coraggio tra compagni. I più audaci alzavano il capo, e si tendevano impettiti verso l’insegnante, per invitarlo allo scontro. Ma cascavano sempre male. Il maestro, il professore, e il Preside non tacevano, non subivano, non cedevano alle minacce, non balbettavano tremanti di fronte al babbeo. Portare a casa una nota significava punizione, che si traduceva in isolamento casalingo, zero uscite, zero giochi in cortile, zero tutto. L’alternativa erano i ceffoni, le ciabattate e altri metodi di punizione corporea che variavano da regione a regione. Si accettava tutto, chinando il capo, chiedendo scusa, evitando il severo sguardo genitoriale, molto più doloroso di un’alzata di voce, delle botte, del restare confinati in casa per un tempo indefinito. I genitori analfabeti o poco istruiti, caro Michele Serra, trasmettevano ai figli rigore, educazione, e rispetto. Ah, certo non erano in grado di insegnare dove posizionare la forchetta a tavola: se a destra o a sinistra. Non sapevano che il tovagliolo non va legato intorno al collo come un bavaglino ma posizionato sulle ginocchia, e di certo non immaginavano che fare i gargarismi mentre si mangia il brodo è da bifolchi. Ma non credo sia questa “l’educazione dei poveri” cui Lei fa riferimento. Anche se la sua puzzetta sotto il naso io l’avverto fin qui. Eh vabbè, sorvoliamo, andiamo oltre. I poveri brutti sporchi e cattivi non difendevano i pargoli a spada tratta, e non cercavano attenuanti o giustificazioni per cavarli dai pasticci. Se chiamati, si recavano a scuola col cappello in mano, trascinando il malandrino per la giubbetta. “Chiedi scusa all’insegnante, chiedi scusa! Che poi a casa facciamo i conti”. Possiamo dire la stessa cosa degli odierni genitori “P”-“R”-“CM”? Ovvio, non tutti, non facciamo di tutti i “P”-“R”-“CM” un fascio. Ma si rassegni, caro Serra, gli odierni bulli appartengono ad un unico ceto sociale, e sono ovunque: a scuola, nei cortei, nei centri asociali, sugli autobus, per la strada. Per farla contenta, caro Signor Serra, potremmo dividerli così: Picchiano i compagni, minacciano i professori: “P” Menano i poliziotti, incendiano i cassonetti, tirano i sampietrini sulle vetrine dei negozi ed incendiamo le nostre auto: “R” e “CM” Postano video di compagne nude sui social: “P”, “R”, “CM” Alcuni esibiscono un Rolex, altri un semplice Swatch, altri ancora un tarocco fatto in Cina. Tre ceti sociali differenti fra loro, che hanno in comune una sola cosa: la mancanza di educazione. L’ineducazione globalizzata. Serra: “I poveri … oggi come ieri continuano a riempire le carceri e i riformatori.” Caro Serra, quasi sempre, il denaro e le amicizie importanti esonerano i “R” dall’andare in carcere e in riformatorio. Le devo proprio insegnare tutto io?
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L’articolo di Michele Serra: Tocca dire una cosa sgradevole, a proposito degli episodi di intimidazione di alunni contro professori. Sgradevole ma necessaria. Non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore, e lo è per una ragione antica, per uno scandalo ancora intatto: il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza. Cosa che da un lato ci inchioda alla struttura fortemente classista e conservatrice della nostra società (vanno al liceo i figli di quelli che avevano fatto il liceo), dall’altro lato ci costringe a prendere atto della menzogna demagogica insita nel concetto stesso di “populismo”. Il populismo è prima di tutto un’operazione consolatoria, perché evita di prendere coscienza della subalternità sociale e della debolezza culturale dei ceti popolari. Il popolo è più debole della borghesia, e quando è violento è perché cerca di mascherare la propria debolezza, come i ragazzini tracotanti e imbarazzanti che fanno la voce grossa con i professori per imitazione di padri e madri ignoranti, aggressivi, impreparati alla vita. Che di questa ignoranza, di questa aggressività, di questa mala educación, di questo disprezzo per le regole si sia fatto un titolo di vanto è un danno atroce inferto ai poveri: che oggi come ieri continuano a riempire le carceri e i riformatori.

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