Malagiustizia: l’Italia dei processi incompiuti, degli innocenti condannati e dei delinquenti che la fanno franca.

In un Paese che ama definirsi la patria del “di diritto”, la giustizia dovrebbe essere un pilastro solido e inappuntabile. Eppure, in Italia, la giustizia è sempre più spesso percepita come un terreno incerto, dove la verità processuale non coincide necessariamente con quella reale, dove i colpevoli possono restare impuniti e gli innocenti finire dietro le sbarre. Il riaccendersi dei riflettori sui casi di Chiara Poggi e Serena Mollicone sono solo l’ultima dimostrazione di quanto il nostro sistema giudiziario sia fragile, permeabile al dubbio e affaticato da clamorose contraddizioni.

L’Italia è una terra di misteri irrisolti. Alcuni nomi ormai fanno parte della coscienza collettiva: Garlasco, Arce, Avetrana, Perugia, Erba, Brembate. Ognuno di questi luoghi richiama casi giudiziari controversi, alcuni chiusi in apparenza ma ancora oggetto di forti contestazioni nell’opinione pubblica. Anche sentenze già passate in giudicato, come quella per la morte di Yara Gambirasio o la strage di Erba, vengono ciclicamente rimesse in discussione da nuove perizie, testimoni, podcast, documentari. In una simile atmosfera, nemmeno la parola definitiva della Cassazione riesce a rassicurare.

Ma non sono solo i delitti recenti a raccontare l’inadeguatezza della macchina giudiziaria. A oltre quarant’anni di distanza, le stragi di Ustica (1980) e Bologna (1980) restano due ferite aperte nella storia repubblicana. Nel primo caso, ancora non esiste una verità giudiziaria completa su quanto accadde al DC9 Itavia abbattuto in volo. Nel secondo, sebbene vi siano state condanne, le ombre e le versioni alternative si susseguono, alimentando un clima di sfiducia e sospetto verso le istituzioni.

Il dato più allarmante, però, è quello che emerge dalle statistiche. Secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia e dall’Ufficio del Garante per i detenuti, in Italia ogni anno circa 960 persone innocenti finiscono in carcere per errori giudiziari. Dal 1991 al 2021, si contano oltre 30.000 casi di ingiusta detenzione, con un danno erariale superiore ai 900 milioni di euro. Una cifra che grida vendetta, non solo per le tasche dello Stato, ma soprattutto per le vite spezzate o irrimediabilmente compromesse.

A questi numeri vanno aggiunti i casi non risolti: si stima che più del 60% degli omicidi in Italia non giunga a una condanna definitiva entro dieci anni, e che una parte significativa di questi venga archiviata per mancanza di prove o per errori commessi nella fase iniziale delle indagini.

Insomma, gli errori giudiziari non solo danneggiano le persone coinvolte, ma hanno anche un impatto economico significativo. Oltre ai risarcimenti per ingiusta detenzione, lo Stato sostiene costi elevati per la gestione di processi lunghi e complessi. Questi oneri finanziari gravano sulla collettività e mettono in luce la necessità di riforme strutturali nel sistema giudiziario.

Le cause di questa mala giustizia sono molteplici: carenza di personale, lungaggini procedurali, investigazioni superficiali, pressioni mediatiche, errori peritali, e un impianto processuale che spesso si concentra più sulla costruzione di una narrazione che sull’accertamento rigoroso dei fatti. A questo si aggiunge un’eccessiva politicizzazione della giustizia e una debole cultura della responsabilità tra gli operatori del settore.

In questo contesto, ogni nuova perizia, ogni testimone che riemerge dopo anni, ogni ripresa mediatica di un caso diventa il sintomo di un sistema che non ha saputo – o voluto – fare chiarezza al momento giusto. E ogni riapertura di un processo già celebrato è una sconfitta per lo Stato di diritto.

La giustizia italiana non può più permettersi di sbagliare. Ogni errore, ogni ingiustizia, ogni verità negata non è solo un dramma umano: è una ferita alla democrazia. Serve una riforma profonda che investa su risorse umane, tecnologie investigative, trasparenza e formazione. Ma serve anche un cambio culturale: meno processi mediatici, meno spettacolarizzazione e più rigore, serietà e competenza. Perché un Paese che non sa riconoscere i suoi innocenti e che non sa dare un volto ai suoi colpevoli è un Paese che ha perso il senso stesso della giustizia. E forse, della propria civiltà.

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