di Redazione. L’emergenza coronavirus ha fatto maturare, a livello generale, la consapevolezza che per determinate mansioni il lavoro da remoto è possibile e auspicabile anche in futuro. Meno spostamenti, più tempo da dedicare alla famiglia o ad altri interessi.Lo smart working ha permesso a tanti impiegati di continuare il loro lavoro, restando a casa e senza dover tornare in ufficio.
Ma se lo smart working in qualche modo rappresenta il futuro di una buona parte del mondo del lavoro, è necessario stabilire nuovi criteri per la sua regolamentazione: tutte le spese, dall’elettricità alla connessione internet, dalla cancelleria all’hardware e al software sono a carico del lavoratore, senza contare la spinosa questione della reperibilità, dei buoni pasto e degli straordinari che vanno ad incidere soprattutto sugli stipendi “medio-bassi” che senza gli emolumenti accessori diventano davvero troppo “bassi”!
Molte aziende, negli ultimi mesi, hanno potuto scoprire che la produttività non risente del lavoro a distanza e restare con gli uffici chiusi può generare risparmi non indifferenti. Ma le spese, come già detto, sono tutte a carico del singolo lavoratore e questo non è giusto soprattutto in casi in cui il lavoratore sia stato costretto a lavorare in smart working contro la propria volontà (come accaduto per questa emergenza sanitaria) e non nel caso in cui il lavoro da remoto sia frutto di un accordo tra le parti.